L’ergastolo della patente? Una pubblicità facile per nascondere scelte più difficili

Chi guidando elimina dalla vita per abuso di alcol e droga deve essere eliminato dalla guida. Ovvero dev’essere condannato all’ergastolo della patente, a non potersi più mettersi al volante per il resto dei suoi giorni. A chiederlo a gran voce, nei giorni scorsi, sono stati i rappresentanti di diverse associazioni (dall’associazione amici polizia stradale, a quelle intitolate a Lorenzo Guarnieri e Gabriele Borgogni) che hanno lanciato una raccolta di firme online a sostegno dell’introduzione del reato di omicidio stradale proposto dal ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, con la prima firma posta dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, e che nei casi di guida sotto effetto di alcol o droghe, hanno anche richiesto l’aumento delle pene minime e l’arresto in flagranza di reato. Ma sarebbe davvero legale e costituzionale introdurre una condanna a vita che impedisca a una persona di tornare a guidare? E non rappresenta forse una fin troppo facile demagogia e un fin troppo identificabile populismo, tipico di chi è a caccia di visibilità e voti, proporre una simile legge sull’onda dell’emozione causata dalle ultime tragedie, in particolar modo della morte della piccola Stella Manzi, bambina romana di 8 anni travolta e uccisa da un romeno di 21 anni, Daniel Domnar, che la sera di Santo Stefano era al volante di un’auto rubata, ubriaco e sotto l’effetto di alcol e stupefacenti? Non sarebbe più giusto e più serio esigere piuttosto che le norme in vigore vengano applicate, garantendo quella certezza della pena che in Italia spesso non è esistita contribuendo a farci diventare un Paese di Pulcinella? Non sarebbe molto più giusto e più serio proporre di recuperare una parte del fiume di denaro speso per auto blu, per autisti di politici, politicanti, faccendieri della politica e chi più ne ha più ne metta per garantire decine, centinaia di pattuglie di polizia in più su strade e autostrade? Sono queste le domande che in molti si sono posti dopo aver letto le notizie sull’omicidio stradale e sull’ergastolo della patente. Domande che in molti, probabilmente, si sono posti anche alla luce di una sentenza, quella depositata il 9 luglio scorso a Strasburgo dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha affermato il principio per cui l’ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata o di revisione della pena è una violazione dei diritti umani, poiché l’impossibilità della scarcerazione è considerata un trattamento degradante e inumano contro il prigioniero, con conseguente violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Aggiungendo che l’ergastolo per essere compatibile con quell’articolo deve contemplare sia la possibilità della scarcerazione, sia la possibilità di una revisione dopo alcuni anni (circa 25) di sconto della pena. E, come non bastasse, non potrebbe esserci il rischio che l’ergastolo della patente, così come la detenzione in cella a vita, possa essere dichiarato incostituzionale, alla luce dell’articolo 27 della nostra Costituzione secondo il quale “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”? La rieducazione contiene in sé il principio di reinserimento sociale della persona e senza reinserimento non c’è rieducazione. Tutte cose che i responsabili delle associazioni e qualche politico in cerca di titoli a effetto sui giornali hanno preso in considerazione? O forse, presi dall’ansia di essere i primi a “sparare” la notizia, i primi a finire nelle agenzie, sui giornali, in tv, i primi a sfruttare l’onda dell’emozione per la morte di una bambina, non hanno avuto tempo e modo di riflettere sul fatto che sarebbe stato davvero meglio fare più controlli, emettere condanne e farle applicare, e magari cominciare a colpire con pene accessorie, colpendo questa volta sì senza pietà, nel portafogli, oltre che  nella libertà , con risarcimenti danni e sequestri di beni coloro che mettendosi al volante ubriachi o drogati hanno deciso di diventare degli assassini?