Non è dato sapere se sia stata l’influenza dello speciale intitolato “Corri bisonte corri” mandato in onda da Michele Santoro ad Annozero o, come preferiamo pensare noi, il frutto dell’intensa attività informativa che vede Conftrasporto impegnata in un’azione mirata di comunicazione sulle tematiche del mondo della mobilità e dei trasporti. Un’attività che si manifesta attraverso il quotidiano Libero e, da questa settimana, anche con il nuovo blog Stradafacendo legato al TgCom. Qualunque sia la causa, ora è certamente maggiore l’attenzione nei confronti del settore. Purtroppo, però, è altrettanto certo che molti si dilettano a fornire dati e analisi che non trovano corrispondenza al vero. Così avviene per gli incidenti che vedono coinvolti i mezzi pesanti. Analisi superficiali evitano di far luce sulle ragioni che innescano comportamenti non rispettosi delle normative e anche i dati errati abbondano.
In questi ultimi giorni abbiamo letto uno studio che prevede, a causa della crisi economica, la chiusura entro l’anno di 150mila imprese di trasporto e logistica. Una previsione un po’ troppo catastrofica visto che, come attestano i dati dell’Albo (l’organismo incardinato nel dicastero dei trasporti), il numero delle imprese risultanti avere la titolarità a operare conto terzi al 16 giugno è di 167.674. Di queste, ben 51.948, cioè il 30,1 per cento, non sono in possesso di veicoli e quindi sono già da cancellare.
Ora appare evidente che se i dati fossero reali, sarebbero 115.726 le imprese a rischio chiusura. Quindi, in Italia, alla fine dell’anno non esisterebbero più imprese di autotrasporto.
Altri dubbi sull’attendibilità dello studio emergono dalla riduzione dei veicoli pesanti che circolano sulle autostrade. Non vorremmo incorrere in errore, ma il dato riportato pare più rispondere alla somma derivante dalla riduzione di veicoli che circolano sui diversi tronchi delle autostrade, con il rischio di sommare più volte gli stessi. La riduzione media è di circa il 20 per cento.
Conftrasporto aveva evidenziato, inascoltata, la necessità di un coordinamento che mettesse a sistema gli interventi per la mobilità, la sicurezza e i trasporti ma anche la conoscenza dei dati. Un elemento comunque è certo: la crisi pesa sul settore e se i provvedimenti concordati non saranno resi spendibili, il rischio di esplosione di tensioni tra gli autotrasportatori appare molto probabile.
La molla che metterà in atto proteste forti, come nel passato, è la sopravvivenza. Quando un soggetto si trova nell’angolo si aggrappa a ogni ipotesi di speranza che gli viene prospettata come possibile soluzione, anche se irrealizzabile.
Conftrasporto aveva alcuni mesi fa lanciato l’ipotesi di un intervento sul congelamento dei contributi per il settore. Lo spostamento nel tempo (il diritto al reintegro dei contributi non versati scattava al termine dell’attività lavorativa) non avrebbe prodotto costi elevati per lo Stato e avrebbe dato una risposta a una voce che “pesa” per circa il 30 per cento dei costi di una impresa.
Rispetto al costo del lavoro di un autista romeno, ma l’esempio potrebbe estendersi ad altri Paesi, le imprese italiane devono spendere 25mila euro l’anno in più. Non è possibile recuperare facilmente un differenziale simile, soprattutto in una fase di crisi, neppure se gli interventi, già promessi e non ancora attuati dal Governo, fossero mantenuti.
Superata la fase d’emergena il problema del costo del lavoro comunque rimarrà. Ecco perché Fai Conftrasporto nel documento presentato alle forze politiche, sottoscritto dalla LNP e da alcuni candidati, ha avanzato la proposta di un contratto unico europeo per il personale viaggiante come per il personale marittimo. Sono anch’essi lavoratori mobili che dipendono da imprese con mezzi circolanti in tutta Europa. Gli stessi sindacati dei lavoratori, se non vorranno trovarsi senza aderenti nella categoria degli autisti, a breve, farebbero bene a riflettere sull’opportunità di approfondire una simile proposta.
Paolo Uggè