Settimana scorsa proprio su Stradafacendo avevamo pubblicato la notizia della condanna a quattro mesi di reclusione inflitta ai funzionari dell’amministrazione provinciale di Cremona ritenuti responsabili della progettazione di un guard rail che il 20 febbraio 2005 causò la morte di un uomo andato a schiantarsi con la sua auto proprio contro la protezione (http://stradafacendo.tgcom.it/wpmu/2009/11/18/il-guard-rail-non-a-norma-diventa-larma-di-un-delitto-colposo/). Sul tema interviene ora Manuela Barbarossa, presidente dell’associazione Aivis (Associazione italiana vittime e infortuni della strada) che ci ha inviato questo commento.
Se ci si sofferma a riflettere, fa un certo effetto accorgersi di avere lasciato essenzialmente alla magistratura il compito di ricordare alle amministrazioni e agli addetti ai lavori, deputati alla sicurezza delle e sulle strade, che la loro propria funzione è quella di salvaguardare la vita, e che la loro professione, di grande responsabilità sociale, come sempre, va a coincidere con una posizione etica, quale scienza della condotta finalizzata al bene comune.
La magistratura, con le proprie sentenze considerate “storiche” – e vedremo il senso di questo concetto – non si limita infatti a perseguire un atto particolare che si è discostato accidentalmente dall’universale, ma, al contrario, ci ricorda l’universale, l’idea guida che dovrebbe muoverci. Se no le sue sentenze non sarebbero certo storiche.
Non c’è nulla di storico in una sentenza che condanna un ladro, poiché nel caso specifico, siamo di fronte per l’appunto ad un comportamento particolare, quello del ladro, che si discosta dall’universale dell’onestà richiesta alla società civile. Non c’è nulla di storico o di degno di un titolo di giornale, se non a livello di cronaca informativa, nella condanna di una persona che ne ha assassinata un’altra. È anch’esso un comportamento particolare di un singolo, che si discosta dall’universale del rispetto della vita degli altri richiesta a tutti, nei confronti dei nostri simili. Né il ladro, né l’assassinio, si stupiscono della loro condanna che per l’appunto… non fa storia. Nessuno se ne stupisce.
Ma è storica, e dunque assolutamente emblematica, da sottolineare, da porre in una cornice a se stante, la condanna per omicidio colposo di quattro funzionari dell’amministrazione provinciale che sono stati ritenuti responsabili della progettazione di un guard rail che ha causato la morte di un uomo che, con la propria auto, vi andò a sbattere contro, sulla statale Paullese nei pressi di Cremona. Funzionari che dunque non hanno svolto la funzione per la quale erano stati chiamati, venendo meno al principio che sottendeva il loro lavoro: quello di costruire un guard rail a norma, finalizzato a salvare la vita o a tentare di salvarla in caso di incidente.
Tuttavia, forse, compito della magistratura con le sue condanne non dovrebbe essere quello di ricordare l’universale dei principi, ma quello di perseguitare chi questi principi non li segue, dando la loro esistenza e rispetto, come un a priori. Soprattutto quando si tratta di Amministrazioni Pubbliche. E invece, la storicità di alcune sentenze, ci pongono al cospetto di un ruolo che la magistratura, forse anche involontariamente, assume di richiamo all’eticità della propria funzione.
Così che la condanna è storica, perché, nello specifico, non si tratta di un comportamento particolare e volontario, che si è discostato dall’universale (se così fosse non ci sarebbe nulla di storico) ma è l’universale ad essere stato dimenticato o forse neppure mai preso in considerazione, e dunque, è giusto che ci si inizi a prendere le proprie responsabilità.
Soprattutto da parte di chi è, per l’appunto, deputato al bene comune.
L’Associazione Aivis, Associazione Italiana Vittime e Infortuni della Strada, tra l’altro, ha da tempo posto in essere una ricerca proprio sui guard rail, pubblicata anche sul sito dell’Associazione, www.associazioneaivis.com nel link studi e ricerche.
È questo uno studio condotto in base alle statistiche degli incidenti da parte dei motociclisti che dimostra che i guard rail, in Italia, per le due ruote, sono delle vere e proprie trappole di morte.
Il problema si allarga dunque a macchia d’olio, e ci costringe ad interrogarci sui motivi che fanno accadere tutto questo.
Sul perché non vi sia l’impulso ad intervenire quanto prima a far sì che quei principi etici di salvaguardia della vita, che debbono inequivocabilmente ispirare un’amministrazione pubblica o comunque degli addetti ai lavori che si occupano di sicurezza sulle strade, non si scontrino con burocrazie o con delimitati orizzonti di pensiero o con interessi economici, tali da avere il potere di farli dimenticare o addirittura di farli percepire come un limite o come un impedimento. Se la sfera ideale non si fosse dissolta e ritornasse al contrario ad avere la sua propria funzione di guidare gesti e pensieri delle pubbliche amministrazioni e di chi svolge attività di tutela, non ci sarebbero più sentenze “storiche”, ma solo sentenze.