Dopo la sentenza con la quale i giudici del tribunale di Roma hanno ordinato il blocco, entro 10 giorni, dei servizi offerti dal gruppo Uber in Italia con la app Uber Black, confermando che l’offerta di noleggiare le berline nere con autista attive a Milano e nella capitale rappresenta una forma di concorrenza sleale, i commenti si sono sprecati. Qualcuno fra coloro che si autodefiniscono i rappresentanti dei consumatori (come se ne avessero il monopolio in esclusiva) ha parlato di “ritorno al Medio Evo” e illustri opinionisti si sono detti concordi paragonando il pronunciamento del tribunale di Roma a un’evidente manovra in retromarcia rispetto alla modernità. Nessuno che abbia fatto cenno invece a due aspetti di rilevante importanza e cioè al fatto che l’applicazione Uber è incompatibile con le normative di legge vigenti e soprattutto che non fornisce garanzie terze riconosciute da un organismo pubblico sulla professionalità e sul possesso dei requisiti necessari per esercitare la professione di noleggiatore con conducente. A conferma è che in questo benedetto Paese il tema della sicurezza spesso viene utilizzato solo a seconda di quanto fa comodo. I rappresentanti del Codacons, ovvero quei signori che quando impugnano davanti ai tribunali amministrativi i decreti che prevedono le deroghe per i mezzi pesanti nei giorni di divieto di circolazione invocano la sicurezza come bene primario, che deve, senza se e senza ma, prevalere sulle esigenze dell’economia, non hanno invece nulla da dire sul fatto che al volante di un’auto noleggiata con un’App possa sedersi chiunque, magari con qualche brutto incidente alle spalle, magari col vizio dell’alcol o con l’abitudine di “farsi”? E non hanno tempo e voglia di domandarsi a chi e quanto possa far comodo che vengano bocciati i costi di sicurezza per il trasporto pesante, “strada” che hanno scelto d’imboccare, nonostante sia in netto contrasto con principi della Corte di Giustizia europea, i magistrati del Tar del Lazio e i vertici dell’Authority della concorrenza? Domande troppo scomode? Meglio non disturbare certi “conducenti”? Ma le leggi cosa ci stanno a fare? Chi esercita la professione, dice la norma, deve essere in possesso di precisi requisiti per esercitare l’attività di trasporto. In caso contrario agisce abusivamente. E il corrispettivo del servizio deve essere percepito dal professionista, non da un intermediario informatico. Uber pretende invece di essere il destinatario del corrispettivo con lo scopo, evidente, di divenire il controllore della domanda e dunque il monopolista. Dopo la sentenza dei giudici di Roma il Governo interverrà finalmente modificando le norme e assumendosene la responsabilità? Nuovi rinvii sarebbero colpevoli. Nel frattempo i tassisti e i noleggiatori non commettano invece la colpa di non dotarsi di un sistema in grado di sostituire Uber organizzandosi, nel rispetto delle regole che nettamente definiscono il servizio taxi e quello degli Ncc, per soddisfare la clientela evitando così che i monopolizzatori divengano i soggetti padroni del mercato. Sprecare l’opportunità offerta dalla sentenza sarebbe un peccato mortale…
Paolo Uggé, presidente di Conftrasporto e vicepresidente Confcommercio.