Immaginate di sedervi davanti a un personaggio noto, che avete avuto l’incarico d’intervistare, e di rialzarvi un’ora abbondante più tardi con la netta sensazione che a quella persona, alla sua storia, non dovrebbe essere dedicato un articolo, ma quantomeno un libro. O, preferibilmente un’enciclopedia. Esattamente la sensazione che deve aver provato più d’un cronista chiamato a “raccontare” Gian Luigi Stanga, bergamasco “partito” da Città Alta, dove è nato in Borgo Canale, inseguendo il sogno di diventare un professionista del ciclismo e arrivato a diventare invece un campionissimo, nel ruolo di manager, guidando i suoi corridori, le sue squadre, a conquistare successi straordinari . Come testimonia il suo “palmares” nel quale spiccano i successi in due Giri d’Italia (con Gianni Bugno e Ivan Gotti in maglia rosa sull’ultimo traguardo); due campionati del mondo su strada (con Gianni Bugno, la sua più grande “scoperta” nei panni di talent scout); due Giri di Lombardia (con Mirco Celestino e Tony Rominger); due Liegi -Bastogne -Liegi (con Dirk De Wolf e Mauro Gianetti); una Milano San Remo e un Giro delle Fiandre (ancora una volta con l’imprendibile Gianni Bugno); una Amstel Gol Race (con Mauro Gianetti), quattro campionati italiani. Per un totale, stratosferico, di 308 vittorie, fra cui 25 tappe del Giro d’ Italia, 16 Tappe al Tour de France, quattro campionati Italiani. Numeri che Gianluigi Stanga, seduto a un tavolo nella sede di via Torquato Tasso, in pieno centro , della Gls (società di corrieri internazionali di cui è consulente e dove capita spesso che chi entra pensi che la sigla racchiuda le iniziali del suo nome, come conferma sorridendo) cita come se fosse la cosa più normale del mondo e non il racconto di una storia da affidare a un libro, a un’enciclopedia. Una storia che inizia da ragazzino quando, racconta il direttore sportivo dei campionissimi, è scattata la scintilla, l’amore per i pedali. “Una passione trasmessami da mio padre, Erminio, che alla bicicletta preferiva in realtà il pallone, cavandosela anche particolarmente bene a giudicare dai commenti positivi che una volta mi ha fatto Peppino Casari, leggenda fra i pali dell’Atalanta di una vita fa. Papà che alla fine aveva però optato per le corse entrando nella squadra ciclistica La Rocca e scegliendo, fra le due passioni, la seconda”. Destinata invece a essere la prima in assoluto, imponendosi “per distacco” qualsiasi altra nella mente (e nel cuore) di suo figlio che quasi una sessantina d’anni più tardi, invitato a percorrere a ritroso la propria “vita” non avrebbe avuto la minima esitazione a confessare che ” mai e poi mai avrebbe potuto “vedersi in un altro sport diverso dal ciclismo”. Un amore capace di non far vedere nient’altro, il suo, di quelli capaci di farti fare qualsiasi cosa . Comprese quelle che, ricordate decenni dopo appaiono pazzie. Come gli allenamenti fatti la sera, finito di lavorare all’Enel, azienda che nonostante fornisse luce elettrica non ha mai contribuito a “illuminare” la strada sportiva scelta dal suo giovane dipendente, non dimostrando alcuna elasticità in materia di permessi o cambi d’orario per permettergli di allenarsi meglio. “Con il risultato”, racconta Gian Luigi Stanga, “che uscivo dal lavoro alle 18 (e non c’era ancora l’ora legale) per pedalare verso Lecco, Bellano, per fare la salita di Tartavalle Valsassina e poi ridiscendere a Lecco e ritornare a casa, con un percorso di circa 120 chilometri tutti fatti con una pila legata al braccio sinistro per farmi vedere, nel buio più pesto, dalle auto e dai camion. Alcune volte rientrando a casa, mi sentivo davvero un miracolato”. Ricordi lontani nel tempo eppure chiarissimi – nonostante l’Enel – così come impresso in maniera indelebile nella memoria è il “Trofeo Balzer, una delle corse storiche di Bergamo in quegli anni”. E nitidissimi sono anche i ricordi delle gare corse da dilettante, con una trentina di successi conquistati, inseguendo sempre il sogno di avvicinarsi ai suoi idoli: “Felice Gimondi, immensa bandiera del ciclismo made in Bergamo, ma anche il suo eterno rivale, Eddy Merckx, il cui figlio, Axel, sarebbe poi diventato un corridore della mia squadra”. Sogni inseguiti allenandosi fino allo sfinimento, estate e inverno, con gli amici-colleghi di squadra, a partire da Diego Gamba, anche lui di Citta Alta, poi trasferitosi in Messico dove ha aperto una catena di gelaterie, e con il quale l’amico d’infanzia è sempre rimasto in contatto. Diego Gamba: un nome che non dice certo granché nella “storia del ciclismo”, mentre moltissimo dicono nomi e cognomi dei corridori che Gianluigi Stanga, messi da parte i sogni di gloria in sella per accomodarsi sull’ammiraglia”, avrebbe guidato una volta diventato direttore sportivo. Iniziando la nuova carriera da team maìnager “prendendo il manubrio della mitica Ucb , l’Unione ciclistica bergamasca che è nata addirittura prima dell’Atalanta, nel 1902”, prosegue Gian Luigi Stanga, “raccogliendo l’invito rivoltomi da Nerio Marabini”.L’inizio (era il 1974) di un’avventura che forse neppure in sogno Gianluigi Stanga avrebbe potuto immaginare, arrivando ad avere il privilegio di dirigere” straordinari campioni, primo fra tutti Gianni Bugno, monzese approdato nella squadra bergamasca dopo che il direttore sportivo l’aveva notato. “Lui correva all’epoca, il 1986, per l’Atala dove i dirigenti non si erano probabilmente resi conto del tutto di quanta stoffa avesse, senza immaginare che potesse esplodere come poi accaduto.. E così ero riuscito ad accaparrarmelo”. “Vincendo” la sua più grande “scommessa”, regalandosi i la sua più grande soddisfazione. Seguita da moltissime altre, in alcuni casi capaci di far provare emozioni profondissime, quasi inenarrabili …. “Le vittorie sono tutte emozionanti, e sicuramente sul podio dei ricordi non possono mancare i due campionati mondiali di Bugno, ma anche il Giro d’ Italia e il Giro delle Fiandre, così come il Giro di Gotti o la Liegi Bastogne Liegi di Mauro Gianetti o i Giri di Lombardia di Rominger e Celestino. Ma ce ne sono veramente tante altre. La sconfitta, invece, che ha “ bruciato” di più? Non aver vinto il Tour de France del 1991. Vinse Miguel Indurain e Gianni Bugno finì secondo”. Una sconfitta in un autentico mare di successi “frutto di talento straordinario, ma anche di volontà, di sacrifici, in una disciplina sportiva in cui, per essere in testa, bisogna possedere un cuore da Braveheart, un cuore impavido”. Talento, gambe, intelligenza tattica, da gestire, da far crescere giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, con rigore assoluto, con meticolosità… “Il corridore più “rigoroso e meticoloso” che ho avuto in squadra? Il compianto Davide Rebellin: gentile e meticoloso, molto legato alla sua professione. Un altro precisissimo era il tedesco Eric Zabel. Il più istintivo e geniale è imnvece stato Serghiei Ouchacov, talentuoso ma incapace di fare la vita dell’ atleta. Un giorno gli dissi che se avessi creato una scuola per ciclisti, lui sarebbe stato sicuramente un docente. La materia che avrebbe insegnato? Cosa non deve fare un corridore ciclista”. Ride di gusto Gianluigi Stanga, così come ride a un altro ricordo affiorato dal passato: quello “della volta in cui lo Slovacco Milan Yurco, alto un metro e novanta , in una tappa del Tour de France prese la bicicletta dello spagnolo Vincente Belda, alto 30 centimetri in meno al quale non restò che inforcare quella del “collega gigante”. Pedalarono così per alcuni chilometri tra l’ilarità del gruppo e degli spettatori”. Protagonisti e storie che sgorgano dalla bocca di Gianluigi Stanga capace di rispondere in una frazione di secondo a qualsiasi domanda. Potenziali campionissimi che invece si sono un po’ “persi per strada? “Ivan Quaranta è stato un ottimo velocista ma avrebbe potuto fare molto di più. E poi il già citato Ouchacov, che se solo avesse saputo fare la vita da atleta…..”. Il percorso ciclistico più bello? “Sia al Giro sia al Tour, ci sono tappe bellissime, le Dolomiti, le Alpi o i Pirenei presentano scenari fantastici ma la corsa che più mi affascina è il Giro delle Fiandre”. E nessun tentennamento, nessuna pausa di riflessione per scegliere quale risposta dare segue anche l’ultima domanda: se non avesse lavorato nel mondo del ciclismo in quale altro “mondo sportivo” le sarebbe piaciuto essere protagonista? “Sinceramente non sarei mai riuscito a vedermi protagonista in uno sport che non fosse il ciclismo”. Quell’affascinante, irresistibile mondo sui pedali a cui lui, sorridendo una volta di più confessa d’aver pensato immediatamente anche quando un responsabile della Gls gli ha chiesto, a 75 anni suonati, di rimettersi la divisa del manager….. “Pensavo volessero creare una nuova squadra, invece avevano bisogno di un consulente che li guidasse nel mondo delle sponsorizzazioni sportive”, conferma l’uomo che ha scritto mezzo secolo di storia del ciclismo italiano e mondiale. E che a quella domanda di “entrare nella squadra Gls” ha risposto comunque sì. Forse anche per via di quella sigla, Gls, che gli ha fatto subito pensare alle iniziali del suo nome e cognome, che gli è sembrato un segnale a cui prestare attenzione… Facendolo ripartire per una nuova sfida, con un po’ di anni sulle spalle ma anche con un “allenamento professionale” unico, con la consapevolezza di poter contare su un’esperienza che solo una carriera come la sua poteva dare. Una carriera vissuta nel mondo che ha sempre sognato, quello del ciclismo “che mi ha dato la possibilità di girare il mondo, di conoscere tantissima gente e di avere una vita gratificante. Sì, credo che se potessi salire sulla macchina – pardon, la bici – del tempo e potessi ripartire da capo rifarei tutto esattamente. A partire dal mio matrimonio con Patrizia alla quale devo dire un grazie enorme per avermi sempre assecondato facendosi carico di allevare i miei figli. Senza il suo aiuto probabilmente sarebbe stato tutto diverso, di certo molto più difficile. I miei successi sono anche suoi, è stata il più straordinario gregario che potessi sognare di avere al mio fianco”.
Articolo postato su gentile concessione di bergamoduepuntozero.it