Gli imprenditori dell’autotrasporto hanno nuove strade per raccontarsi: ai clienti e ai dipendenti

“La divisa serve a questo: a distinguere, a permettere all’occhio, allo sguardo, di riconoscere immediatamente la funzione di chi la indossa. La divisa è una garanzia per chi gli si trova di fronte”. La frase, tratta da “Gridalo”, libro scritto da Roberto Saviano, sembra fatta apposta per riassumere uno dei tanti, piccoli-grandi suggerimenti che Nicola Donti, filosofo, docente universitario e consulente in comunicazione nelle relazioni interpersonali, ha voluto lanciare sabato 8 marzo dal palco della Fiera Futura Expo di Brescia rivolgendosi alla platea di autotrasportatori riuniti dalla Fai (Federazione autotrasportatori italiani) di Brescia e Bergamo per capire come “cambiare marcia”, per guidare le imprese dell’autotrasporto nel futuro migliorando il presente. Un suggerimento proprio a “indossare sempre più la divisa aziendale” che Nicola Donti ha rivolto ai tanti imprenditori del settore che hanno preso posto nella sala vittoria Alata della Fiera, aggiungendo qualche riflessione in più a quelle scritte dell’autore di “Gomorra”: invitando, per esempio, gli imprenditori dell’autotrasporto, anche al volante di aziende di piccole dimensioni, a fornire ai propri conducenti una divisa “dando così loro l’opportunità non solo di essere subito riconoscibili, rappresentanti di una ben precisa realtà imprenditoriale (facendo contemporaneamente viaggiare la visibilità del brand) ma anche di riconoscere se stessi come “giocatori di una squadra aziendale”. Una strategia solo apparentemente piccola, capace in realtà di creare un’immagine diversa, più “qualificata”, dando agli operatori dell’autotrasporto “un’identità più precisa, come avviene del resto per molte altre categorie di lavoratori immediatamente identificabili proprio grazie alla divisa”, come ha aggiunto Nicola Donti aggiungendo perfino, scherzando ma non troppo, che “sulla divisa potrebbero perfino essere previsti dei gradi, esattamente come avviene per l’esercito, per rendere immediatamente percepibile, per esempio, un livello particolare di abilità nella guida e, più in generale, nella professione”. Professione che come ha voluto sottolineare, “spesso non è percepita per quello che invece è, per la sua reale importanza, per il valore economico e sociale e legato alla sicurezza sulle strade che riveste. Un valore, un’identità e che l’intera categoria, con un gioco di squadra, deve riaffermare, trovando nuove strade per comunicarlo”. Comunicandolo magari proprio attraverso quello che i conducenti indossano, “oltre che con un nuovo modo di raccontarsi. Perché”, ha concluso il filosofo-comunicatore, “se c’è un aspetto nel quale il mondo dell’autotrasporto deve davvero “cambiare marcia” è proprio nella comunicazione: imparando, per esempio, a non mostrare solo la faccia negativa della medaglia ma anche, anzi soprattutto, quella positiva che esiste, eccome, e va solo raccontata. Un esempio? La carenza di giovani autisti, di “ricambi” al volante dei camion: solo comunicando i tanti aspetti positivi che ha questa professione, la sua importanza per la vita di ogni giorno di tutti noi, è possibile fornire all’opinione pubblica un’altra “immagine” del conducente di camion, facendo vedere a tutti la sua “vera identità”: la comunicazione non deve mostrare solo l’autista che mangia qualcosa velocemente, magari per strada, accanto al camion posteggiato in un’area di sosta, o mentre è in attesa di caricare o scaricare su un piazzale: queste sono semmai situazioni che le associazioni devono combattere efficacemente “raccontando” poi gli eventuali successi ottenuti. Quello che la categoria dell’autotrasporto deve mostrare, non solo con le associazioni ma con ogni singola azienda, è la tecnologia, è il welfare che molte imprese hanno saputo introdurre – spesso dimenticandosi ahiloro di dirlo – . Devono imparare non solo a “fare manovre” ma a dire che le hanno fatte, a far sapere quello che hanno saputo mettere in campo, in molti casi per costruire un “benessere organizzativo aziendale.2, o ancora, per aiutare il territorio in cui hanno la sede. In due parole: devono imparare a comunicare il valore di questa professione e di molte realtà aziendali del settore”. Un messaggio quest’ultimo ascoltato con particolare attenzione da una giovane imprenditrice del settore, Carla Iozzino, invitata dalla segretaria della Fai di Brescia, Giuseppina Mussetola, a salire sul palco come “testimonial” di quanto sia realmente possibile fare per “cambiare marcia” nel comunicare il valore dell’autotrasporto. Un esempio particolarmente significativo considerato che la titolare dell’”Autotrasporti Iozzino”, fondata dal padre Pasquale, crede a tal punto nella comunicazione da aver non solo addirittura “preso a bordo” un consulente per la comunicazione oltre a un giovane stagista “per percorrere con loro le strade di Internet e dei social, per far giungere a destinazione, in particolare fra i giovani, i messaggi che vogliamo trasmettere sul valore ma anche sulla bellezza spesso del nostro lavoro”, ma anche da “entrare nelle scuole per mostrare chi è davvero il conducente di un camion: un lavoratore, professionista della guida, senza il quale il Paese non potrebbe girare. Una figura importantissima”. Semplicemente da raccontare e mostrare in modo diverso, molto meglio di quanto avvenuto fin qui. Magari con indosso la sua nuova divisa. “Per rivvicinare nuovi giovani a questa professione, ma anche”, come ha concluso un applauditissimo Nicola Donti “per dare allo stesso tempo a chi svolge già questo lavoro una nuova autostima, una nuova consapevolezza di quanto vale….”