Il trasportatore che guida Confindustria pagava il pizzo? “La faccia ipocrita della lotta alla mafia”

“Scoprire che il presidente di Confindustria Catania da 20 anni pagava il pizzo alla mafia, attraverso la grande azienda di autotrasporto e logistica di cui è proprietario con il fratello, è davvero la fotografia di quanto, al di là di protocolli e dichiarazioni di facciata, sia debole, ipocrita e solo di facciata la battaglia per la legalità nel nostro Paese e nel mondo dell’autotrasporto in particolare”. A denunciarlo, all’indomani dell’inchiesta antimafia chiamata “Doppio petto” che ha trascinato nella bufera Angelo Di Martino, alla guida dell’associazione degli industriali dell’isola oltre che, con il fratello Filippo, dell’azienda di autotrasporti di famiglia che, secondo l’accusa, avrebbe pagato “regolarmente” il pizzo da 20 anni (con i due fratelli che davanti agli agenti di polizia avrebbero ammesso che l’azienda era vittima di estorsioni, partite con “una richiesta di denaro destinato al sostentamento delle famiglie dei detenuti”) è la presidente di Ruote Libere Cinzia Franchini denunciando come “il fatto che il rappresentante di tutti gli imprenditori siciliani si sia piegato a pagare per quieto vivere sia uno schiaffo a decenni di battaglie”. Uno schiaffo che appare ancora più violento e doloroso ricordando, coma fa Cinzia Franchini,come “30 anni Libero Grassi sia morto da eroe a Palermo, ucciso da quattro colpi di pistola mentre andava al lavoro, per aver detto no al pizzo nell’allora silenzio del sistema associativo e politico”. Istituzioni e associazioni che Cinzia Franchini chiama pubblicamente ora in causa domandando, attraverso un comunicato stampa, “cosa resti dei protocolli sulla legalità scritti dalle associazioni di categoria, delle frasi ripetute da tanti vertici associativi “chi paga il pizzo oggi o è stupido o è colluso”, degli appelli a denunciare, a ribellarsi, a rompere il muro della omertà e del silenzio, se poi il leader di Confindustria Catania da due decadi accetta il sistema mafioso…”. Parole durissime come quelle usate per chiedere le immediate, inevitabili, dimissioni del presidente Di Martino, primo passo per aprire, possibilmente con altrettanta decisione e immediatezza, “una riflessione vera e senza filtri sulla criminalità nel mondo economico italiano e dell’autotrasporto in particolare, da sempre nodo nevralgico degli interessi dei clan. Smettiamola di dire che oggi l’Italia ‘esporta l”antimafia’ perché non è così e il caso di Di Martino lo dimostra”, si legge sempre nel durissimo “j’accuse” della presidentessa di Ruote Libere, pronta a ribadire, una volta di più che ” alla luce di notizie simili, è quantomai necessario, davanti alla mafia denunciare, gridare. Il silenzio e la sottomissione oggi non sono affatto frutto di una paura condivisibile, ma anche quando ciò avviene inconsapevolmente, si traducono in un rafforzamento del sistema mafioso”. Ricostruendo la vicenda giudiziaria che vede protagonista la famiglia Ieni, Cinzia Franchini sottolinea come Angelo Di Martino, “commendatore al merito della Repubblica, eletto pochi mesi alla guida degli industriali catanesi e da sempre attivo nel mondo della rappresentanza, presidente dell’omonimo gruppo che conta 1500 occupati tra dipendenti e indotto, insieme al fratello Filippo avesse iniziato a pagare da inizio anni Duemila, consegnando alla famiglia mafiosa fino a 8mila euro all’anno”, accettando di “sottostare all’ignobile ricatto dei boss”. Una scelta imperdonabile perché, conclude Cinzia Franchini, “il fatto che questi imprenditori siano vittime dell’estorsione, il fatto che dal punto di vista legale non siano perseguibili, non basta a derubricare questa vicenda”. Percé “è evidente che oggi, anche grazie agli strumenti legislativi conquistati con fatica e a prezzo di vite umane, le vittime del pizzo, quando si parla di colossi imprenditoriali simili, non possono essere considerate ingenui e inermi imprenditori lasciati soli a se stessi. No, le vittime del pizzo a questo livello, decidono di esserlo e, così facendo, contribuiscono a perpetrare un sistema criminale inaccettabile. Sono passati 30 anni da quando Libero Grassi venne assassinato, da allora tanti passi in avanti sono stati fatti, con fatica. Adesso gli imprenditori non vengono lasciati soli e gli strumenti ci sono: che il rappresentante di tutti gli imprenditori siciliani si sia piegato a pagare per ‘quieto vivere’ è uno schiaffo a decenni di battaglie”.