L’autotrasporto chiede solo di mantenere gli impegni. Perché al Governo nessuno risponde?

Senza confronto si fa poca strada e perfino chi ha dimostrato il miglior spirito costruttivo e la più totale disponibilità al dialogo di fronte all’assenza di qualsiasi risposta rischia di arrendersi. A oltre un mese e mezzo di distanza dall’insediamento del nuovo Governo la richiesta di un incontro avanzata al dicastero delle Infrastrutture e dei trasporti da Unatras, che coordina in modo unitario le imprese del mondo artigiano (Fita – Cna, Confartigianato, Casartigiani) e delle piccole, medie e grandi imprese (Assotir, Fai, Fiap e Unitai), non ha avuto alcun seguito e in assenza di qualsiasi convocazione ora anche il mondo della cooperazione sembra condividere le posizioni di Unatras. In sostanza si può ipotizzare che quasi la totalità dell’autotrasporto sia ormai su posizioni di critica. Certamente il tema dei migranti riveste una grande importanza e quindi il ministro fa bene ad occuparsene. Così come è giusto che si preoccupi della norma che impone a chi viaggia con bambini di avere seggiolini posteriori. Ma anche i temi dell’autotrasporto meritano una certa attenzione. Nella lettera che i responsabili di Unatras hanno inviato al ministro erano elencati alcuni aspetti sui quali era stata già raggiunta un’intesa con il precedente Esecutivo. Se quegli impegni non dovessero essere attuati finirebbero per penalizzare le imprese, e particolarmente quelle a dimensione artigiana. Non è certo per caso, ne tantomeno  per mancanza di volontà di dialogo, che l’Unatras è stata costretta a dichiarare un fermo dell’autotrasporto che ha prodotto l’emanazione di alcuni dei provvedimenti richiesti. Per parlarsi occorre sempre essere in due. E se il silenzio da parte del titolare del dicastero potrebbe apparire comprensibile, perché il neoministro si trova oggettivamente (e questo nessuno l’ha mai messo in dubbio) in una condizione complessa, altrettanto comprensibile dovrebbe risultare la considerazione che senza il trasporto il Paese si ferma. Se le merci non vengono trasportate (e oggi, piaccia o meno, è la gomma a essere la modalità preferita dal sistema produttivo), il motore che viene spesso identificato con il sistema manifatturiero, gira a vuoto e le merci prodotte restano nei piazzali e non raggiungono i mercati di destinazione. Questi aspetti non possono sfuggire neppure a un neofita che senza un interessamento fattivo potrebbe anche vedere a breve l’Ilva chiudere i battenti e le nostre esportazioni perdere pesantissime quote di mercato se si dovesse lasciar dovesse passare l’idea del ritorno delle frontiere. Le federazioni dell’autotrasporto responsabili in passato hanno sempre cercato di collaborare con i vari governi. Qualunque fosse la loro appartenenza politica. L’unico ministro che non volle tenerne conto fu il ministro Alessandro Bianchi che si trovò il Paese bloccato nel lontano 2007 innescando un meccanismo che produsse, nel giro di pochi mesi, la crisi del governo Prodi. Non fu certo la causa principale, ma non aiutò certo un esecutivo che già viveva uno stato di malessere e difficoltà. Alla luce di quanto riportano i media non pare che la situazione attuale sia tanto diversa. Con il caso dei forconi invece l’esito fu diverso e i risultati furono di segno opposto: il Governo evitò di avere il Paese bloccato e gli stessi operatori poterono usufruire di soluzioni capaci di consentire quel recupero di competitività che è la condizione necessaria per non chiudere l’attività. È davvero possibile (e utile) restare ancora in silenzio di fronte a tutto questo?

Paolo Uggé, vicepresidente di Conftrasporto e Confcommercio