Saranno i porti di Genova e La Spezia ad aprire “le danze” di una vertenza che doveva e poteva essere risolta da tempo e che invece è stata scaricata – ma questa non è una novità – sulle spalle degli operatori del trasporto. Le motivazioni? Certamente la lunga assenza di un governo alla guida del Paese non ha giovato, ma a leggere il documento diffuso dalle organizzazioni territoriali che hanno dato l’annuncio della fase conflittuale ci sarebbero responsabilità anche “precedenti” di chi è controparte degli operatori dell’autotrasporto e che avrebbe avuto l’onere di mantenere impegni assunti nel passato. Un colpevole immobilismo che ora sta trasferendo sugli autotrasportatori oneri che non dovrebbero essere caricati su di loro. Punti nodali della vicenda sono i costi dovuti alle improduttive attese degli automezzi sui piazzali degli scali, l’assenza di una tracciabilità e verifica dei tempi di attesa in modo da poter valorizzare i termini e le procedure per gli indennizzi ai vettori danneggiati. Ovviamente vi sarà chi cercherà di colpevolizzare i vettori per l’iniziativa decisa, ma se le intese assunte nei mesi passati e i costanti solleciti a provvedere non hanno di fatto riscontrato il dovuto interesse come stupirsi se la categoria reagisce? Tutto questo, si legge nel comunicato diffuso, produce tempi di attesa nel carico e scarico dei contenitori, code di veicoli causate da blocchi operativi, cambi turno che impediscono la programmazione dei viaggi e consegne. È mai possibile che non si apra un costante confronto per trovare soluzioni a simili inefficienze che oggi sono a carico dei soli operatori del trasporto? L’importanza della funzionalità dei sistemi portuali è una delle condizioni per la competitività del sistema Paese e molto probabilmente riguarda anche altre realtà portuali. Così la riforma avviata dall’allora ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti Graziano Delrio rischia di non partire e anche i necessari correttivi che debbono essere apportati rischiano di restare al palo. Alcuni presidenti di Autorità portuali invece di valorizzare le attività delle strutture loro assegnate sembrano cercare maggiormente la propria visibilità in convegni non sempre utili e solo per non scontentare qualche potente di turno si prostrano alle sue richieste, magari aderendo ad associazioni private e infischiandosene così delle precise direttive emanate dal ministero. Alcuni non hanno avuto timore di sfiorare (o superare abbondantemente?) il ridicolo scegliendo un escamotage apparentemente scaltro: aderire a “titolo personale” anche se ricoprono un pubblica funzione. Il sistema portuale è troppo importante. Il ministro e i suoi sottosegretari farebbero bene a interessarsene in modo diretto. In gioco non c’è solo l’attività di autotrasporto e di tanti operatori e loro dipendenti ma il futuro del Paese.
Paolo Uggé vicepresidente di Conftrasporto e Confcommercio