Innanzitutto una premessa: nutriamo il massimo rispetto per le iniziative sindacali che i lavoratori effettuano per difendere le loro ragioni. Detto questo (e precisato, per i più duri di comprendonio e coloro che vivono col paraocchi) che non c’è nessuna ironia da parte nostra, ma solo enunciazione di fatti, va aggiunto che non possiamo invece nutrire rispetto per certe iniziative di qualche sindacalista, magari pronto a raccontare di grandi adesioni a manifestazioni di protesta che sono state in realtà veri e propri scioperi fantasma. Ma vediamo di mettere in fila le questioni. Partiamo dalle trattative per il rinnovo del Contratto di lavoro: si protraggono da diverso tempo senza giungere ad alcuna evoluzione positiva, con le difficoltà maggiori che riguardano non la “paga in mano” da riconoscersi ai lavoratori, bensì il costo del lavoro. Non è un mistero che tra le voci che compongono i costi delle imprese quella del lavoro incida mediamente tra il 25 e 28 per cento. Per dirla in soldoni, tra il costo sostenuto da un’impresa italiana e una dei cosiddetti Paesi emergenti ballano dai 15 ai 20mila euro all’anno. Questo è un elemento che pesa sulla competitività delle imprese italiane e che concorre a determinare sia la delocalizzazione sia il ricorso al personale in affitto. I dati diffusi al recente Forum dei trasporti ospitato a Cernobbio attestano che nei trasporti internazionali le imprese italiane hanno fatto registrare una diminuzione pari al 69 per cento mentre quelle dei Paesi emergenti hanno visto un incremento del 198 per cento. Un recente studio, pubblicato dalla Bgl, sigla che sta per Bundesverband Güterkraftverkehr Logistik und Entsorgung, associazione tedesca dell’autotrasporto e della logistica, segnala che nei primi dieci mesi di quest’anno le imprese della Germania hanno registrato una riduzione del 10 per cento nei chilometri percorsi, passando dal 67,7 al 57,7 per cento, mentre i vettori dei Paesi emergenti sono saliti dal 18,4 al 33,2 per cento. Dati che dovrebbero far riflettere. Per primi proprio certi sindacalisti più attenti alle messinscene che all’analisi e alla risoluzione di problemi reali. Già, perché alcune organizzazioni sindacali per dimostrare di avere il consenso dei lavoratori nello sciopero dei giorni scorsi (organizzando blocchi in alcuni porti e interporti oltre che in alcune imprese, con poche azioni che hanno ovviamente determinato in alcune zone qualche problema ma niente di più) hanno invece lasciato intendere che l’adesione fosse stata massiccia. E, come non bastasse, hanno fatto credere “furbescamente” ai lavoratori-conducenti che si volessero togliere anche i diritti acquisiti come la quattordicesima. La verità è un’altra e racconta due cose: la prima, che nessuno ha mai domandato di concedere la possibilità alle imprese di mettere in discussione dei diritti acquisiti (la reformatio in peius non è consentita); la seconda, che nei due giorni di sciopero i Tir hanno circolato. Ne è testimone “oculare”, anche se l’occhio in questo caso è tecnologico, il collegamento diretto con le telecamere installate lungo i tratti stradali che ognuno può vedere. Il quesito al quale rispondere è semplice: visto che ancora non esistono automezzi a guida autonoma e di fronte all’evidenza (filmata) che i camion hanno circolato come in ogni altro giorno, chi c’era alla guida? L’adesione di quasi il 100 per cento dei conducenti allo sciopero è solo il frutto di uno… sciopero mediatico.
Paolo Uggé, presidente di Fai Conftrasporto e vicepresidente di Comnfommercio