La Cina in 43 ore costruisce un ponte, l’Italia in 19 anni non riesce ad aprire un cantiere

I nostri porti affondano in un mare di scartoffie. Un titolo che fotografa alla perfezione la situazione degli scali italiani quello scelto dal quotidiano Libero per riassumere i contenuti di un articolo sul trasporto di merci via mare alla luce di quanto “emerso” dalla lettura del documento “Analisi e previsioni per il trasporto merci in Italia” realizzato da Confcommercio Imprese per l’Italia e presentato a Villa D’Este a Cernobbio, sul lago di Como, in occasione del terzo Forum Internazionale di Conftrasporto. Le scartoffie sono quelle di una burocrazia che come un cancro divora da decenni il Paese, che tutti denunciano a parole, ma che nessuno, classe politica in primis, sembra voler sconfiggere davvero (anche perché la gigantesca macchina burocratica rappresenta un bacino di voti alle elezioni capace di far vincere o perdere….). Una burocrazia capace di imprese da Guinness dei primati (anche se di cui vergognarsi per l’eternità). Un esempio? È quello riportato nelle primissime righe dell’articolo pubblicato martedì 11 ottobre nelle pagine di Economia del quotidiano diretto da Vittorio Feltri. “In 43 ore in Cina è stato costruito un ponte sul quale transitano ogni giorno 200mila veicoli. In 19 anni in Italia non è e stato possibile dare il primo colpo di ruspa per le attività di dragaggio di un porto, quello di Napoli, così da garantire una profondità di 11 metri e poter accogliere navi con stazza (e pescaggio) nel frattempo notevolmente aumentati. Lavori che a gennaio 2018 dovrebbero finalmente partire, per completarsi in un arco di tempo, due anni… facendo però gli scongiuri perché nel frattempo le navi sono diventate sempre più giganti: il pescaggio è arrivato a quota 16 metri e nuove “carte burocratiche” potrebbero intervenire e ribloccare nuovamente il tutto… Il ponte cinese e il porto di Napoli: le facce di due mondi distantissimi, e non solo geograficamente”, prosegue l’articolo. “Perché l’Italia appare chiaramente agli antipodi rispetto alla Cina, ma anche a moltissimi altri Paesi, nella capacità di saper programmare e realizzare progetti”. E per testimoniare l’incredibile incapacità con la quale spesso viene gestito il Paese Libero cita un altro esempio, che ha come teatro, ancora una volta, Napoli: i lavori per l’ampliamento della darsena, sempre a Napoli, per accogliere le nuove meganavi da crociera. “Lavori programmati nel 2001, con privati (il gruppo cinese Cosco e il colosso delle crociere Msc) pronti a metter generosamente mano al portafogli e a garantire un mare di investimenti, oltre 180 milioni di euro”, denuncia Libero. “Peccato che nel 2106 , stanchi di constatare che Napoli, città celebre per “a mossa” (ovvero il colpo d’anca delle ballerine che ha fatto impazzire generazioni di campani) fosse anche una delle capitali mondiali dell’immobilismo politico e amministrativo, i cinesi se ne siano andati portando altrove i loro capitali”. Due esempi di malaburocrazia capace di trascinare a fondo l’economia di un Paese che l’Europa “a 28 Paesi” nel 2016 ha sostanzialmente recuperato i livelli delle movimentazioni portuali antecedenti la crisi  del 2007, ha movimentato oltre 76 milioni di tonnellate di merce in meno rispetto a 10 anni prima, con un differenziale negativo ancora del 15 per cento”. Risultati “frutto di tempi di programmazione, progettazione ed esecuzione delle opere incredibilmente lunghi”, come ha denunciato proprio da Cernobbio Pasquale Russo, segretario nazionale di Conftrasporto “e che hanno portato il sistema portuale italiano a” una crescita negli ultimi 12 anni di circa l’8 per cento contro una crescita di quello spagnolo di quasi il 50 per cento”. E tutto questo mentre il mare sta facendo la parte del leone nel trasporto merci, con le autostrade del mare che assorbono il 58,2 per cento dei percorsi svolti da materie prime e prodotti finiti. Madre natura ha regalato all’Italia un ruolo da protagonista assoluta regalandone, nella geografia del pianeta, una posizione da piattaforma logistica ideale del Mediterraneo. A far affondare quella piattaforma ci hanno pensato amministratori incapaci di capirne l’importanza.