Tre cavalcavia crollati in appena sei mesi (l’ultimo, in ordine di tempo, quello della rampa di collegamento del viadotto della tangenziale di Fossano, nel Cuneese, schiantatosi sulla strada sottostante distruggendo un’auto dei carabinieri che stavano effettuando un posto di blocco, fortunatamente senza provocare vittime): non occorre essere delle aquile per dedurre che, con ogni probabilità, il parco delle infrastrutture italiane fa acqua da tutte le parti; e neppure occorre possedere grandi abilità nel calcolo statistico per immaginare che altri crolli seguiranno se non si interverrà a fare una manutenzione come diocomanda e, nell’attesa che questo avvenga, una mappatura delle infrastrutture che negli ultimi decenni non hanno visto magari neanche una mano di vernice. Dopo la tragedia sfiorata a Fossano, nei bar di molte città e più in generale nei punti di ritrovo sta circolando, sempre più rapidamente, una considerazione: “Cosa bisognerà aspettare per intervenire? Forse che qualche cavalcavia si schianti sull’auto blu di qualche ministro, parlamentare, senatore….?” Inutile aggiungere che, qualcuno fra quelli un pochino meno pazienti e, dunque, più esasperati da questa situazione, questa possibilità l’ha già trasformata in augurio… E mentre c’è chi sta pensando a una class action contro lo Stato (dover guidare per lavoro ogni giorno e dover avere, per colpa di chi non sa lapalissianamente garantire infrastrutture, il panico ogni volta che si avvicina un cavalcavia che possa cedere non può per caso creare un danno biologico notevole?), con in prima fila i motociclisti che in autostrada, in caso di pioggia forte, sotto quei ponti devono cercare riparo anche per intere mezz’ore (moltiplicando il pericolo e quindi il rischio di danno biologico), cosa avviene nei “palazzacci”? Boh. Forse qualcuno starà pensando a ridurre il tonnellaggio massimo dei tir adibiti a trasporti eccezionali, magari facendoli scendere da 108 a 86 tonnellate? Potrebbe essere un’ipotesi. Oltretutto credibile visto che costerebbe solamente una firmetta su un decretuccio, mentre obbligare qualche centinaio di dipendenti di amministrazioni pubbliche a scendere per strada a controllare i cavalcavia e a dire “di qui si passa di qui no” sarebbe invece impresa titanica. Roba magari da doverli risarcire tutti con un superpremio in busta paga, da concordarsi ovviamente con gli eccellentissimni rappresentanti dei sindacati… Non è invece un’ipotesi, ma una sciagurata realtà da far venir voglia di menar calci perfino a un amputato in carrozzina, la notizia che, di fronte al crollo di ogni certezza sulla stabilità dei ponti Made in Italy, sia partita la corsa delle amministrazioni pubbliche a sovraccaricare di burocrazia le imprese di autotrasporto. Un autentico colpo di genio, roba da far avvicinare sempre di più (ma solo per prenderli a calci, s’intende….) normali cittadini e i burocrati. In Lombardia un’impresa di autotrasporto che doveva utilizzare una (e si sottolinea: una!!!!!!!!!!) motrice per trasportare carichi altrimenti non consegnabili (causando così un danno anche all’impresa costruttrice e all’acquirente, ma questi sono dettagli ai quali perfino la grande industria sembra non fare attenzione…) si è vista invitare a compilare una serie di documenti da par paura. Roba da entrare di diritto nel copione di un film di Checco Zalone: una montagna di fogli di carta che, impilati uno sull’altro, hanno raggiunto la vertiginosa altezza di 28 centimetri. Il titolare dell’azienda per dare la documentazione ai camionisti ha dovuto acquistare uno zainetto (chissà, magari compilando una richiesta di 300 o 400 fogli potrebbe perfino avere diritto fra una ventina d’anni al rimborso?), che ovviamente in caso di controllo dovrà essere svuotato per mostrare la fantozziana pratica agli agenti. I quali a loro volta dovranno leggersela tutta. Roba da impegnarli per qualche ora: tempo che magari qualche milione di italiani preferirebbe venisse speso per fermare – e magari portare in gattabuia – qualche delinquente del volante. È tutto un circolo vizioso: mentre i cavalcavia si schiantano (senza neppure che ci passi sopra un Tir e magari neppure un cinquantino della Vespa….) la burocrazia fa schiantare le imprese di autotrasporto sotto il peso di migliaia di fogli delle pratiche burocratiche (a proposito quelle carte dovranno essere calcolate nel peso totale dell’automezzo? E potranno essere “scorporate” come sovraccarico a carico dello Stato?). In quanto a far schiantare l’economia e il lavoro, ma anche la serenità delle famiglie, e perfino gli zebedei di chi ancora li ha (e che forse sarebbe ora mostrasse d’averli) ci pensano puntualmente i politici e i burocrati. Esseri naturalmente dotati, come il resto della razza umana, di una testa che si suppone munita all’interno della stessa materia del resto della razza, ma apparentemente incapaci, non si sa bene per quale mistero, di prendere decisioni semplici, rapide, logiche. Quelle stesse soluzioni che potrebbero adottare milioni di persone normali,a partire dalle elementari per arrivare agli ospizi, reparti per Alzheimer esclusi. Scelte semplicissime, come appunto far realizzare una mappa delle infrastrutture più e più volte invocata negli ultimi anni da gente che sulle strade ci vive e lavora, come gli autotrasportatori di Fai Conftrasporto, ma che sembrano misteriosamente sfuggire ai politici. Ovvero quella categoria umana che più d’un cittadino normale, al bar (perfino senza aver ancora toccato una birra o un Negroni) o dal barbiere, per strada o in fila alla cassa del supermercato, si sta augurando di tutto cuore possa passare sotto il prossimo cavalcavia che dovesse crollare. Con l’auguri, ovviamente, che non si faccia nulla, che esca illeso, per l’amor di dio, ci mancherebbe… Ma con la grandissima speranza- questa sì, eccome – che si prenda uno di quegli spaventi da farlo stare seduto sulla tazza per un paio di settimane. Un tempo sufficiente per pensare a un decreto che contenga del puro e semplice buon senso, rimedio magari più che sufficiente a evitare a a qualcuno di lasciarci la pelle mentre sta percorrendo una strada per andare a lavorare o per portare la famiglia al lago (soldi permettendo). Ma anche un tempo sufficiente per restituire agli italiani la sensazione che anche chi lavora nel pubblico può essere utilizzato per lavori “socialmente utili”, come per esempio fare una mappatura delle infrastrutture a rischio e non solo firmare e diffondere documenti da centinaia di pagine utili solo ad ammazzare, sotto una montagna di burocrazia, le opportunità di lavoro.