Scarsa concorrenza, poche gare, servizi scadenti. L’Antitrust boccia in maniera netta il trasporto pubblico locale, la “seconda voce di spesa per le Regioni dopo la Sanità”, settore che impegna oltre 7 miliardi di euro di fondi statali e ne genera quasi 11 di ricavi. L’indagine conoscitiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato evidenzia pochissime luci e tante ombre. “Oltre alle performance insoddisfacenti, rispetto ai principali Paesi europei, emergono gravi squilibri strutturali tra cui: investimenti insufficienti in infrastrutture; parco rotabile obsoleto; notevoli divari territoriali, per cui gli utenti di alcune Regioni, soprattutto centro-meridionali, hanno accesso a meno servizi e di qualità peggiore, senza peraltro pagare prezzi inferiori”, spiega l’Antitrust.
“Quasi il 70 per cento delle perdite del settore, considerando le società a partecipazione pubblica, riguarda la Regione Lazio. Anche nei grandi centri urbani il fondamentale diritto alla mobilità non è assicurato in modo uniforme: anzi, a volte l’offerta è peggiore proprio nelle zone frequentate dagli utenti con redditi minori. Insomma, nonostante i rilevanti esborsi di denaro pubblico, non c’è equità sostanziale nell’accesso ai servizi di Tpl né sono state intraprese politiche efficaci per sviluppare la mobilità sostenibile”, spiega l’Antitrust che ricorda come la vendita dei biglietti, anche a causa dell’evasione tariffaria, copra appena il 30 per cento dei costi. “In Italia”, si legge in una nota, “l’offerta complessiva dei servizi di Tpl è in media sovradimensionata rispetto alla domanda effettiva, che spesso rimane però insoddisfatta. Questo apparente paradosso, prodotto dall’eccesso di servizi proprio dove ce n’è meno bisogno, rivela gravi carenze nella programmazione da parte delle Regioni e degli altri enti locali”. Inoltre, i servizi di Tpl sono “ancora, in prevalenza, gestiti in base a contratti in esclusiva affidati direttamente a imprese partecipate dagli enti locali o, nel caso del ferro, a Trenitalia. Sono state fatte poche gare, spesso male”. Per l’Antitrust la ricetta è rappresentata dall’apertura alla concorrenza del settore, che “potrebbe contribuire in modo rilevante a risolvere i problemi riscontrati, in modo da allentare la pressione sulla spesa pubblica ma garantendo anche un più ampio godimento del diritto alla mobilità”. In particolare, secondo l’Authority, sono due i fattori all’origine del mancato sviluppo della concorrenza nel settore: “Una normativa che ha ostacolato sia la concorrenza ‘per’ il mercato (ovvero lo svolgimento di gare per affidare la gestione dei servizi) sia la concorrenza ‘nel’ mercato (vale a dire l’offerta di servizi da parte di più gestori sulle stesse linee); un insieme di elementi che hanno scoraggiato il ricorso alle gare, tra cui, in particolare, l’assenza di meccanismi in grado di condizionare l’erogazione dei fondi pubblici ai risultati ottenuti e i conflitti di interesse, nei casi in cui l’ente locale è anche proprietario del gestore dei servizi”.
Per l’Antitrust è quindi “necessario, attraverso la riforma dei servizi pubblici locali in discussione in Parlamento o in altro modo, un tempestivo intervento normativo, per favorire un assetto più concorrenziale del settore”. Sono quattro le linee di intervento suggerite: un “salto di qualità” nella fase di programmazione dei servizi, sia nel riorganizzare il riparto di competenze tra Stato, Regioni ed enti locali, sia nel merito della programmazione; favorire il ricorso alle gare con meccanismi volti a responsabilizzare le amministrazioni; le gare devono essere ben fatte e garantire un’ampia partecipazione; va sviluppata la concorrenza ‘nel’ mercato, poco diffusa anche perché ritenuta – erroneamente – una modalità che non consente di perseguire obiettivi sociali.