La notizia era nell’aria ma erano moltissimi gli operatori dell’autotrasporto a sperare che fosse infondata, allontanando così il fantasma di una reazione che tutti avrebbero voluto evitare. Ora invece lo spettro di un nuovo taglio della compensazione sull’accisa del gasolio, che il Governo si appresterebbe ad applicare, rischia di ridare corpo alla protesta. Scelta “obbligata”, se si considera che i nuovi tagli farebbero venir meno l’intesa sottoscritta nel novembre scorso con il ministero dei Trasporti, che prevedeva interventi triennali per il settore. Le intese si realizzano per essere rispettate e se oggi, dopo il taglio che si è già verificato sulle spese non documentabili, a bilanci già redatti, si registrasse una nuova “amputazione”, come anticipato dalla stampa, la reazione appare scontata. E nessuno sarebbe più in grado d’intervenire, perché nessuno potrebbe più ridare credibilità a chi prima ha dato garanzie che interventi basati su tagli lineari non si sarebbero effettuati e ora ipotizza proprio un taglio lineare. Confcommercio nella recente “Giornata sul fisco” ha indicato al Governo la via per recuperare 74 miliardi di euro, attuando una politica che tagli ciò che va tagliato: la spesa pubblica delle Regioni. Nessuno ha contestato quelle proposte. Tutti invece sanno come un incremento dell’accisa spingerebbe coloro che effettuano trasporti internazionali, o che hanno la sede in zone di confine, ad approvvigionarsi di carburante all’estero, facendo così perdere allo Stato più di quanto vorrebbe risparmiare. Anche il Governo in carica lo sa bene, visto che per il 2015 ha potuto verificare gli ottimi risultati di un intervento calibrato: le entrate dello Stato non hanno fatto registrare riduzioni; i costruttori di automezzi hanno realizzato maggiori vendite (e l’ambiente ne ha tratto giovamento); le imprese regolari dell’autotrasporto hanno recuperato competitività. Perché abbandonare una strada virtuosa per tutti?
Paolo Uggé, presidente di Fai Conftrasporto e vicepresidente di Confcommercio