“Essere competitivi nei confronti di altri concorrenti dello stesso Paese non è più sufficiente. Per garantirsi davvero un futuro l’autotrasporto italiano deve diventare concorrenziale nei confronti di altre nazioni. Ma per farlo il mondo dell’autotrasporto italiano dev’essere messo nelle condizioni di poter gareggiare alla pari, sostenendo gli stessi costi delle aziende spagnole, slovene, greche, perché altrimenti la partita è persa in partenza, perché nessuno può pensare di giungere al traguardo per primo se parte con un peso maggiore da trasportare, con una zavorra che lo rallenta”. È questo il messaggio che Pasquale Russo, segretario nazionale di Conftrasporto, ha lanciato dal palco della sala convegni del Grand Hotel de la Ville di Parma che ha ospitato la ventisettesima assemblea congressuale della Fai, la federazione autotrasportatori italiani. Un appuntamento voluto per fare un bilancio della situazione e per capire, insieme agli associati alla federazione, quali manovre occorra adottare per uscire da un tunnel infinito e tornare a vedere finalmente la luce. Associati provenienti da tutta Italia che non hanno avuto nessun dubbio nel condividere la prima manovra da compiere: tagliare i costi. “Perché noi autotrasportatori siamo stanchi di dover fare come quegli atleti che al nastro di partenza devono schierarsi con un peso legato alle gambe. Così poter correre, poter sperare di vincere è impossibile”, ha affermato Enzo Notarnicola, storico associato pugliese della Fai. E quanto sia drammaticamente pesante il carico in più che l’autotrasporto italiano deve trasportare rispetto alla concorrenza europea l’ha mostrato chiaramente la tabella elaborata da Conftrasporto e proiettata sul grande schermo che Pasquale Russo ha commentato sottolineando come per fare il confronto non siano stati scelti Paesi come la Romania, “con i quali il divario sarebbe apparso abissale, ma con Paesi simili al nostro con molte caratteristiche in comune, come Spagna, Slovenia, Grecia”. Ebbene, cosa dicono i dati delle tabelle? Per esempio che il costo del lavoro al chilometro per un’impresa di autotrasporto italiana è di 0,406 euro, contro gli 0,285 euro della Spagna, gli 0,215 e gli 0,220 euro di Slovenia e Grecia. Costi che, per l’Italia, si moltiplicano puntualmente anche alla voce manutenzioni, assicurazioni e tasse, pneumatici, pedaggi autostradali e che ci vedono concorrenziali solo alla voce carburanti, dove l’Italia è meno penalizzata rispetto alla Spagna e alla Grecia. “Ci sono voci per le quali un’impresa di autotrasporto italiana è costretta a pagare il 60, addirittura quasi il 90 per cento in più rispetto ad altri Paesi”, ha tuonato Pasquale Russo, “e ribadisco, il raffronto è stato fatto con nazioni della vecchia Europa e non di quella nuova, dell’Est, perché altrimenti sarebbe stato un vero e proprio massacro. È questa la strada che dobbiamo percorrere per continuare a lavorare? È dovendo sostenere costi altissimi per fronteggiare una concorrenza come quella slovena, che sta distribuendo in Italia volantini in cui spiega come in Slovenia la tassa sull’utile sia fissa del 17 per cento e come l’assicurazione di un camion costi 600 euro l’anno, che possiamo sperare di far ripartire l’autotrasporto italiano? E per fortuna l’Europa ha deciso di bloccare il cabotaggio libero che avrebbe dovuto entrare in vigore dal 2014 e con il quale ognuno sarebbe stato libero di viaggiare quanto e come voleva per tutta Europa, applicando le tariffe più basse. Uno scampato pericolo che non ci deve però far riposare neppure un istante sugli allori. Se non vogliamo vedere altre centinaia, migliaia di nostre imprese chiudere dobbiamo far sì che i nostri rappresentanti politici, e non solo, facciano sentire forte la loro voce. Per esempio per ottenere che tutto il mondo dell’autotrasporto nel vecchio continente abbia un regime fiscale contributivo uguale per tutti, in modo da non penalizzare alcune nazioni a scapito di altre. Perché l’Europa unita deve esserlo anche nel dare regole e opportunità di lavorare uguali per tutti”.