“La patente a punti? Qualche risultato positivo s’è visto. Ma si poteva fare meglio. All’inizio ha prodotto una sua efficacia dissuasiva, poi col tempo gli italiani si sono ingegnati. In tanti hanno adottato il sistema dell’addebito dei punti al nonno patentato, alla mamma, al cittadino extracomunitario che collabora col datore di lavoro. Tanto poi ogni due anni di buona condotta i punti si riguadagnano. Insomma, bisogna trovare il modo di ridare vigore alla patente a punti». Con queste parole Giordano Biserni, presidente dell’Asaps, l’associazione dei sostenitori amici della polizia stradale, ha commentato il sesto anniversario dall’entrata in vigore della patente a punti.
Sei anni in più, migliaia di incidenti, feriti e morti in meno
Un bilancio non troppo positivo – secondo Giordano Biserni – per una normativa che, numeri alla mano, nei primi due anni ha comunque fatto abbassare sensibilmente il tasso di incidenti, passati dai 265.402 del 2002 ai 252.271 ( meno 4,9 per cento) del 2003, per poi scendere ancora di un 3,5 per cento nel 2004.E in sensibile calo è stato anche il numero delle vittime: i morti sono passati dai 6980 del 2002, ai 6563 nel 2003 ( meno 6 per cento) e sono diminuirti di un ulteriore 6,7 per cento l’anno successivo. E se è vero che col passare del tempo l’effetto si è diluito (nel 2005 il numero degli incidenti si è abbassato solo del’1,4 in percentuale e nel 2006 di appena lo 0,8 per cento) è altrettanto incontestabile che dall’avvento della patente a punti il numero di incidenti, morti e feriti sulle strade è sempre stato accompagnato dal segno meno. Indubbiamente oggi la perdita di punti (nel 2008 i punti tolti sono stati 8 milioni 971.814 e quasi 2 milioni le infrazioni) come effetto deterrente non possiede la stessa forza dei primi tempi, ma il bilancio della patente a punti non può che essere positivo, come conferma anche Paolo Uggè, già sottosegretario al Trasporti nel primo governo Berlusconi. Secondo Ugge “premesso che non si possono valutare i risultati della patente a punti in ragione del numero dei punti decurtati, e nemmeno eventualmente recuperati attraverso “scorciatorie”, occorre, come dice l’obiettivo fissato dagli organismi competenti comunitari, ragionare in termine di vite salvate, e sotto questo punto di vista è impossibile non constatare come nei primi due anni la riduzione del numero delle vittime sia risultata perfettamente in linea con l’obiettivo comunitario di ridurre del 50 per cento il numero dei decessi rispetto a quello registrato nell’anno 2000″.
L’effetto deterrente cala se diminuiscono i controlli
E al presidente dell’Asaps, secondo il quale “la vera spallata non l’ha data la patente a punti, ma il giro di vite sulla guida in stato di ebbrezza, la confisca dell’auto, l’enorme aumento dei controlli della polizia stradale e dei carabinieri e il Tutor sulle autostrade”, Paolo Uggè replica che “se dopo i primi due anni c’ è stata innegabilmente una fase discendente, lo si deve piuttosto alla scarsità dei controlli che hanno finito con il ricreare la quasi certezze dell’impunità”. Una spiacevole realtà, quella della mancanza di controlli, confermata del resto secondo Paolo Ugge, proprio dall’introduzione dei tutors su alcuni tratti autostradali. “La mortalità è diminuita, ancora una volta, in modo significativo per l’effetto deterrenza che i nuovi strumenti di controllo ingenerano nei conducenti, non per i reali controlli effettuati. Non è quindi il recupero facile della patente, come sostiene il presidente dell’Asaps, che ha ridotto il positivo effetto iniziale della patente a punti ma la perdita della consapevolezza della certezza della possibilità del controllo”.
Recupero punti, smascherare chi bara è possibile
E anche sulla questione del recupero punti, secondo Paolo Uggè, la strada da intraprendere non può essere che quella dei maggiori controlli. Contro la facilità con la quale si possono riguadagnare i punti (basta dichiarare di aver fatto un minicorso di cinque lezioni in una scuola guida), contro il mercato nero dei punti in vendita on line, (molti automobilisti rimasti senza i punti sono arrivati a pagarli anche 400 euro a punto) il rimedio può essere semplice: basta la volontà da parte del ministero a realizzare un sistema di controlli a campione serio”.
Sulla velocità la legge non può essere uguale per tutti
Ma c’è un altro capitolo che occorre assolutamente affrontare con grande volontà, grande chiarezza di idee e in tempi rapidissimi”, sottolinea sempre Paolo Ugge, ed è quello relativo ai limiti di velocità. Un altro capitolo sul quale la posizione dell’ex sottosegretario ai Trasporti è ancora una volta contraria a quella del presidente dell’associazione dei sostenitori amici della polizia stradale, dichiaratosi contrario alla scelta di far viaggiare le auto in autostrada a una velocità fino a 150 chilometri orari senza incappare in contravvenzioni. “In questo caso Giordano Biserni condanna la norma che consente di elevare la velocità massima nei tratti nei quali è in funzione il tutor”, spiega Paolo Ugge. Dimenticando, evidentemente un concetto chiave: quello per cui la velocità non è di per sé elemento determinante per l’incidentalità. Come ben dovrebbe sapere il presidente Asaps il comportamento umano, le condizioni di traffico e delle infrastrutture, l’affidabilità del mezzo concorrono tra le cause degli incidenti. In Germania dove non vigono i limiti assoluti di velocità non si può affermare che la mortalità sia di gran lunga superiore a quella esistente in Italia. Inoltre non credo che si voglia sostenere che una Mercedes, una Bmw o un’Audi che viaggia a 130 chilometri ora sia pericolosa quanto una Panda 900 alla medesima velocità. Occorrerebbe stabilire dei parametri diversi per differenti categorie di auto, con diversissime capacità di arrestarsi in caso di brusca frenata, di tenuta di strada. Insomma bisognerebbe saper valutare e distinguere de diverse condizioni di sicurezza che un’auto con determinate caratteristiche può o non può assicurare.
Mettiamo un limitatore di velocità diverso su auto differenti
Nell’era informatica dovrebbe essere possibile intervenire per diversificare i mezzi, rispetto alle sanzioni in ragione dei cavalli posseduti. O forse, più semplicemente, basterebbe obbligare le case automobilistiche a montare sulle vetture un limitatore di velocità in base alla potenza del mezzo.Forse avremmo risolto un problema smettendo di fare demagogia spicciola su una norma, quella della velocità, che non è certamente la causa principale per gli incidenti e che di fatto non farebbe altro che certificare quello che è una norma di buon senso”.