In Italia ora si costruiscono soprattutto auto di fascia alta. Secondo un calcolo della Fim Cisl, nel 2016 questo tipo di vetture rappresentano il 62 per cento della produzione degli stabilimenti italiani di Fca, a fronte del 20 per cento del 2012. “I dati che abbiamo elaborato sul primo trimestre 2016”, dichiara Ferdinando Uliano segretario nazionale Fim-Cisl responsabile del settore automotive, “evidenziano che dopo il 2015, l’anno di uscita per Fca da un periodo di forte crisi del settore, il 2016 sarà caratterizzato da un ulteriore crescita nei volumi con una composizione maggiore di auto della fascia alta del mercato”.
“È certamente questo il dato più significativo”, si legge in un comunicato. “Nel 2012 come Fim-Cisl abbiamo condiviso con il Lingotto il nuovo piano industriale, poi confermato il 6 maggio del 2014 a Detroit, che alla base aveva la scelta di cambiare le tipologie di auto prodotte, elevandone la fascia: oltre alle due auto prodotte a Melfi: Renegade e 500x, e alle due Maserati di Grugliasco, si rilanciava il marchio Alfa Romeo con 8 modelli e si rafforzava il polo torinese del lusso con una importante produzione Maserati nel sito storico di Mirafiori”. Secondo il sindacato, le auto di fascia medio alta prodotte nel 2012 rappresentavano solo il 20 per cento dei volumi, mentre nel 2015 si è raggiunto il 58 per cento. Nel 2016, spiega sempre la Fim-Cisl in una nota, “con la messa in produzione alla fine di marzo di Levante e Giulia, a cui si aggiungerà a fine anno il nuovo Crossover Alfa Romeo, la percentuale potrà ulteriormente crescere fino a toccare il 62 per cento”. Le produzioni rilevate nel primo trimestre 2016 fanno riscontrare che “su base annua si supererà la quota di 1 milione di vetture prodotte, considerando anche i veicoli commerciali. La maggiore composizione di auto nella fascia medio alta comporterà particolari vantaggi alla redditività complessiva degli stabilimenti italiani, ma soprattutto avrà effetti positivi sull’occupazione con un forte ridimensionamento delle ore non lavorate (cassa integrazione e contratti di solidarietà)”. Secondo Ferdinando Uliano, questo cambiamento è stato possibile “per le scelte che ha compiuto un sindacato come la Fim Cisl. Quegli accordi, inizialmente contrastati da molti “signor no”, hanno obbligato il Gruppo ad investire in Italia, evitando la chiusura di due stabilimenti”.