Strada Facendo

Se la malattia professionale colpisce il camionista non c’è diritto all’invalidità

Nei giorni scorsi il quotidiano Libero ha pubblicato la storia di un camionista al quale è stata rifiutata l’invalidità. Ci si attendeva un qualche interessamento per quel lavoratore, non certo l’intervento di un ministro, ma almeno un segnale di attenzione. Invece nulla. Come sempre avviene quando un  conducente di tir è coinvolto in un incidente sul lavoro. Per una grave discopatia, una delle malattie professionali più diffuse nella categoria come emerge dai controlli che vengono realizzati dalla società autostrade per l’Italia, l’Istituto non sembra voler  riconoscere l’indennità.

Malattie professionali, sulle quali non si interviene, che riguardano la salute dei conducenti dei tir,  strettamente correlata con il tema  della loro sicurezza. Sembra ovvio che un conducente in regola, non stressato da tempi di guida superiori a quelli consentiti dalla legge, che opera all’interno di regole, non solo sia meno soggetto alle malattie professionali ma certamente anche più sicuro, per sé stesso e per gli altri. Ragionamento lineare che però incredibilmente fatica a farsi strada. E, ancor più incredibilmente, il concetto trova condivisione, ma solo a parole, dal Governo dei tecnici, che evidentemente ha imparato a tempo di record dai politici- politicanti come si governa. Annunciano iniziative, garantiscono provvedimenti ma tutto finisce li. E intanto continua a esserci (e a far sentire la propria voce)  chi è interessato a evitare che i controlli sulla sicurezza vengano  effettuati. Guarda caso si tratta degli stessi che per i rapporti di lavoro pretendono mani libere e flessibilità; che sostengono che la legge 300 (statuto dei lavoratori) sia stata usata per tutelare i “non lavoratori”, ma  che si scordano che quella legge venne introdotta anche per limitare lo strapotere di tanti “padroni delle ferriere”. Il parallelismo con i problemi del trasporto è identico per i conducenti dei tir, siano padroncini o dipendenti . Muoiono in tanti sulle strade, hanno problemi di salute anche perché le regole, che ci sono, non vengono fatte rispettare. Il decreto sui controlli nelle operazioni di trasporto e le conseguenti sanzioni in caso di mancato rispetto delle regole, esistono. Il provvedimento, come annunciato dal ministro Corrado Passera, da lui già firmato, è però fermo al ministero dell’Economia. Il motivo?  Forse qualcuno non vuole che questo provvedimento di civiltà che tutela la sicurezza sociale e della circolazione, deciso dal Parlamento, venga applicato. Si antepone così il tornaconto alla vita dell’uomo. È  per sollecitare il Governo  (ma sicuramente vi sarà chi userà la parola ricatto) che le associazioni hanno deciso forme di protesta che inizieranno il 28 aprile con la marcia dei tir in 10 città. Lo scopo è sollecitare l’attuazione delle normative sulla sicurezza. Se nulla sarà fatto la protesta salirà di livello. Il dubbio è che Il ritardo delle decisioni dipenda dalla contrarietà di chi terziarizza  ma mantiene gli  incentivi dallo Stato anche se non garantisce i livelli occupazionali; di chi  riesce a far passare nella pubblica opinione l’assunto che il rispetto dei costi incomprimibili della sicurezza produrrebbero incrementi sui singoli prodotti al consumo.  O, peggio ancora, che i morti sulle strade alla guida dei tir (il 30 per cento circa del totale dei morti sul lavoro) derivino da incidenti stradali e non siano morti sul lavoro. Queste furbizie devono essere sconfitte nell’interesse di tutti.

Paolo Uggè (presidente Fai Conftrasporto)

Exit mobile version