L’autotrasporto e le ferrovie sembrano viaggiare sempre più in due direzioni diverse. A parole dovrebbero incrociare sempre più le loro strade, realizzando quelle famose sinergie di cui si parla tanto. Ma la realtà è ben diversa, ovviamente in peggio, e rischia di peggiorare sempre più se non si imboccherà la strada giusta. Per esempio quella di dare vita, come avvenuto in altri Paesi (che, non a caso, stanno avanzando invece che indietreggiare) a un operatore logistico che veda Ferrovie, Poste, operatori del trasporto protagonisti, insieme, del rilancio di un sistema nazionale. Ma per fare questo (o per individuare altre strade, ogni buona idea è sempre bene accetta…) occorre fare i fatti e non solo parlare. Lo ricordava un ottimo ministro dei Trasporti, purtroppo recentemente scomparso, Carlo Bernini quando diceva che: “coe ciacoe no se impasta e fritoe”. Invece in Italia ognuno continua ad andare per la sua strada e soprattutto a sostituire, ai fatti, le parole. Spesso a sproposito. Un esempio? Quelle pronunciate dall’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, che invece di preoccuparsi del fatto che le merci su rotaia in Italia viaggino a ritroso, o che sulle linee ferroviarie i guasti continuino a creare problemi (l’ultimo a Roma il 10 gennaio) , o ancora, che dopo dieci anni la liberalizzazione delle ferrovie continui a incontrare sul suo percorso ostacoli che sembrano creati ad arte, concentra invece tutte le sue fatiche per “denunciare” gli stanziamenti dati dal Governo al trasporto su gomma. Stanziamenti che, secondo il Moretti pensiero, sarebbero la madre di tutte le difficoltà nelle quali si trova il settore dei treni cargo. La tesi di Moretti: i soldi dati all’autotrasporto penalizzano le ferrovie perché tolgono competitività, creano una distorsione della concorrenza. Una tesi che sembra fatta apposta per deragliare miseramente. Basta leggere l’analisi che i responsabili dell’istituto Bruno Leoni (nato nel 2003 per promuove una discussione pubblica consapevole e informata sui temi dell’ambiente, della concorrenza, dell’energia, delle liberalizzazioni, della fiscalità, delle privatizzazioni e della riforma dello Stato sociale, sul modello dei think tank anglosassoni) ha effettuato sulle risorse trasferite alle ferrovie negli ultimi otto anni per capirlo. I numeri non mentono: 56,5 miliardi di euro; 7 miliardi all’anno. Ebbene, se si assume a riferimento il fatturato dell’autotrasporto merci, circa 60 miliardi di euro, con quello del cargo ferroviario, che, in costante diminuzione, si aggira sui 600 milioni di euro, e si applicasse la stessa percentuale riconosciuta alle Fs cargo nell’anno 2009, pari al 17 per cento, l’autotrasporto avrebbe risorse a 10 zeri (invece che alcune decine di milioni) in grado dir renderlo assolutamente competitivo con i concorrenti esteri. Ma evidentemente il “primo macchinista” delle FFSS preferisce guardare le pagliuzze negli occhi degli operatori del trasporto anziché le “traversine” nei propri. E con la stessa precisione puntualità (caratteristica che non appartiene certo ai treni italiani) dimentica di scorgere altre realtà, sotto gli occhi di tutti. Per esempio come mai, a 10 anni dalla liberalizzazione delle ferrovie, gli operatori privati, circa il 21 per cento del mercato, preoccupati si domandino quale siano le reali intenzioni del gruppo Ferrovie sul settore Cargo quando vi sarà il passaggio di 160 scali merci (dei 240 esistenti) da Rfi a Trenitalia. Il sospetto (a pensare male a volte ci si azzecca) è che mettere un ostacolo sul cammino dei privati (determinando difficoltà con condizioni di accesso complesse ai privati) sia l’unico mezzo per mantenere posizioni di privilegio nella gestione e salvare il carrozzone (è davvero il caso di dirlo) statale… A chi giova che invece che connettere il Paese per farlo diventare competitivo si faccia concorrenza sleale con i privati che hanno investito sul trasporto ferroviario? A chi giova che il costo del lavoro nel settore ferroviario sia superiore del 30 per cento rispetto ad altri Stati? All’ingegner Moretti la risposta. Sperando arrivi prima che qualcuno scelga di seguire, anche sui binari, la strada di Marchionne. Non è provocazione: è la competitività che lo impone.
Paolo Uggè