Anche nel 2003, quando l’allora ministro dei Trasporti Pietro Lunardi si fece portatore dell’opportunità che su alcuni tratti autostradali la velocità potesse essere elevata a 150 chilometri orari, si scatenò il coro di tutti coloro che vedono nell’eccesso di velocità un pericolo per l’incolumità degli utenti della strada. Il “padre della patente a punti” non aveva proposto di elevare il limite in generale ma solo su alcuni tratti autostradali, ma la demonizzazione la ebbe vinta. Grazie a una poco ragionata campagna denigratoria la proposta venne modificata in una possibilità per gli enti concessionari di intervenire a elevare il limite massimo previsto dal Codice. Naturalmente questi si guardarono bene dall’assumere la responsabilità consentita, soprattutto per evitare di trovarsi coinvolti un domani in richieste di possibili risarcimenti danni. La proposta avanzata Lunardi era adeguata e il fatto che venga ripresa oggi da alcuni senatori della Lega Nord Padania ne è una conferma. E certamente oggi esistono ragioni più sostenibili. L’emendamento presentato prevede che la possibilità sia consentita solo nei tratti sottoposti al tutor e questo è in perfetta coerenza logica con quanto di fatto oggi avviene. Se coloro che già si sono lanciati nella nuova crociata “contro”, fornendo dati a dimostrazione di quanto la velocità elevata sia (da sola?) strettamente connessa con gli eventi mortali sulla strada, si prendessero la briga di verificare quale sia il reale limite di velocità che già oggi nei tratti sottoposti al controllo del tutor è in atto, scoprirebbero che si aggira intorno ai 145 chilometri orari. L’emendamento dei senatori della Lega non fa altro dunque, che fotografare la realtà. La riduzione del numero le vittime avviene pertanto con il limite di velocità anzidetto. Le ragioni dovrebbero essere conosciute da chi si occupa di problemi del traffico, soprattutto se si tratta di “amici della Polizia della strada”. Ne cito una per tutti: la tolleranza, determinata dalla legge, che di fatto già consente un limite più elevato rispetto a quello definito dalle norme e anche dalle ragioni oggettive connesse a una complessa gestione burocratica. Sarebbe importante che tutti coloro che si occupano di temi legati alla sicurezza evitassero di fare della demagogia solo per ottenere gratuita visibilità.
Un aspetto mi permetterei di evidenziare ai proponenti ed è che il nuovo limite, previsto solo per alcuni tratti, non intervenga a modificare l’impianto sanzionatorio che deve restare invece ancorato ai 130 chilometri orari, facendo partire sempre da questa soglia il conteggio dei diversi scaglioni fissati per far aumentare le sanzioni parallelamente alla velocità. In altre parole, per impedire che un automobilista che venga sorpreso a viaggiare a 160 all’ora, “sforando” il tetto di “soli 10 chilometri orari”, paghi una minimulta. Questo mi pare debba essere un ragionamento di buon senso e logico che non tende ad assumere l’elemento velocità come determinante, da solo, delle condizioni di pericolosità. Se ci avventurassimo nella disamina delle cause che determinano gli incidenti e scomponessimo le stesse dalle concause finiremmo per dare ragione a chi sostiene che lo stato di ebbrezza concorre solo per circa il 3 per cento nel determinare gli incidenti sulle strade. Ma tutti sappiamo che così non è. Le condizioni delle strade, la disattenzione, l’uso del telefonino, la stanchezza non sono forse degli elementi che partecipano significativamente a determinare incidenti? Se si intende sostenere una battaglia di principio sulla velocità si abbia il coraggio di non utilizzare superficiali analisi e si sostengano attraverso ragioni documentate tali convinzioni. Ancora una volta tuttavia emerge come su un tema complesso, come le modifiche al Codice della strada, si dovrebbe far ricorso a una legge delega per realizzare una riforma organica, rifuggendo da interventi episodici che finiscono con lo scontentare tutti. È forse per questa ragione che la tesi prudente del relatore, Senatore Cicolani, mi pare ragionevole. Si approvi subito il testo licenziato dalla Camera, che è già un buon testo, e si approvi una legge delega con la quale si attribuisca una volta per tutte al Governo l’arduo, ma non più rinviabile compito di modificare un codice vecchio e non più comprensibile.
Paolo Uggé