da parte di troppi, di comprendere che il trasporto merci su rotaia è già da tempo una scelta economicamente obbligata per far giungere il “made in Bergamo” nel Nord Europa senza dover affrontare costosissimi viaggi su strada che impediscono ai prodotti di essere alla fine competitivi, e che chiudere lo scalo ha significato doverci “appoggiare” a quelli di Verona o Milano, con sovraccosti che in più d’un caso hanno fatto saltare la commessa, a vantaggio di concorrenti che non devono invece pagare l’isolamento infrastrutturale”. Così parlò Andrea Callioni, consigliere di Fai Bergamo e amministratore unico di Cisaf, una delle due società che gestivano il trasporto combinato nelle scalo cittadino, assolutamente certo che la “cura del ferro” sia la strada giusta da seguire, “anche grazie ai maxi treni passati da 500 metri a 750, con la possibilità di trasportare molte più merci riducendo i viaggi”, ma altrettanto consapevole che Bergamo oggi appaia solo come “un’autentica locomotiva produttiva abbandonata a se stessa senza avere binari sui quali viaggiare”.