Avrebbero costretto i propri autisti a violare sistematicamente le norme sui tempi di guida e di riposo, sottoponendoli a turni di lavo fino a venti ore. Per questo l’amministratrice di una società di autotrasporti della provincia di Novara, suo figlio e l’amministratore di una cooperativa che reclutava gli autisti, sono stati condannati, al termine del processo di primo grado, a sette anni e mezzo complessivi di carcere, contro i 18 chiesti nella sua requisitoria, dal pubblico ministero. La condanna più pesante è stata inflitta all’amministratrice, ritenuta dagli inquirenti a capo dell’organizzazione, mentre al figlio, accusato di avere cancellato o alterato le tracce sulle violazioni, compresi i dati del cronotachigrafo, sono stati inflitti due anni. Il terzo imputato, “alla guida” di una cooperativa, è stato infine condannato a un anno e mezzo, contro i quattro anni chiesti dall’accusa. L’indagine, condotta dagli agenti della Polizia stradale fra il 2014 e il 2016 aveva consentito di individuare una ventina di autisti che sarebbero rimasti vittima dello sfruttamento, una parte dei quali si sono costituiti parte civile nel processo, ottenendo una provvisionale di tremila euro a testa. In aula è emerso che in alcuini casi gli autisti costretti a superare le ore di guida “con pressioni e minacce”, avrebbero causato anche alcuni incidenti. Per mostrare la regolarità del lavoro, vennero manipolati i dati del cronotachigrafo. Gli avvocati difensori hanno sostenuto la tesi che gli imputati non potevano essere ritenuti responsabili perché gli autisti dipendevano da cooperative esterne, ma inutilmente.