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Legami mafia autotrasporto: dopo questa sentenza qualcuno oserà dire che non ci sono?

“Non era mai successo che un presidente della categoria dell’autotrasporto si costituisse parte civile in un processo per mafia, nonostante questo mondo sia da sempre oggetto di particolare attenzione da parte della criminalità organizzata. Ora la sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato le condanne per il processo AEmilia contro i clan della ‘ndrangheta in Emilia Romagna, compresa quella, a 3 anni, inflitta all’ex vicepresidente della Cna di Reggio Emilia Mirco Salsi, ex patron della Reggiana Gourmet, che in Cna ricopriva anche l’incarico di vicepresidente nazionale della sezione alimentari, testimonia della correttezza di quella costituzione di parte civile”. Ad affermarlo non è una persona qualunque: è Cinzia Franchini, ovvero l’ex presidentessa di Cna Fita che, primo caso in Italia, aveva deciso di scendere in campo in un’aula di giustizia, costituendosi parte civile, per denunciare i legami fra mafia e autotrasporto. Scegliendo come “terreno di scontro” quello del più importante processo per mafia celebrato nel Nord Italia, nato da un’inchiesta che a gennaio del 2015 aveva svelato il radicamento trentennale della ‘ndrangheta nella regione. Un legame fra la mafia e il mondo imprenditoriale (compreso quello dell’autotrasporto) dell’a “regione rossa” confermato dalla sentenza di primo grado, arrivata a ottobre 2018, che aveva visto infliggere agli imputati 1200 anni di carcere; da quella d’appello, che aveva ridotto le pene complessive a 712 anni (assolvendo solo 28 dei 120 imputati) , e ora dalla Cassazione. “Certificando” in modo definitivo “il radicamento dei clan soprattutto a Reggio Emilia e Modena, anche se presenze mafiose e affari criminali vennero segnalate anche in altre province come Parma e Piacenza”, come si legge nella motivazione della sentenza, con “padrini e affiliati che indossavano i panni nuovi della criminalità imprenditoriale, impegnata a fare soldi e ad acquisire potere. A tessere nuove trame lavorando a cavallo tra la finanza sporca e i mercati dell’economia pulita”. Una realtà che era evidentemente apparsa da subito chiarissima a Cinzia Franchini, oggi presidente di Ruote Libere, associazione autonoma di piccoli e medi imprenditori dell’autotrasporto dopo che dalla Cna Fita era uscita “proprio dopo che quella mia scelta “, ricorda oggi, “aveva contribuito a provocare una frattura insanabile con la Cna Fita, associazione che, aggiunge, non mi risulta che, dopo il riconoscimento del risarcimento di 40mila euro in primo grado, abbia continuato a seguire il processo. Cercando ovviamente di far passare in secondo piano la condanna di un dirigente di spicco dell’associazione. Spiace constatare quindi che, dopo la mia uscita, non si è trattato più un tema, quello del radicamento mafioso, che, al di là dei soliti rituali formali, rappresenta una piaga per il settore dell’autotrasporto. E così il processo AEmilia pur avendo scattato una fotografia importante di un problema comunque noto, non ha cambiato la realtà, come confermano le stesse parole di Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica del Tribunale di Catanzarola secondo il quale la mafia è ben inglobata nel nostro sistema economico ed è un problema che in fondo non è sentito come tale, nemmeno dai committenti, perché nel mondo dell’autotrasporto a farla da padrone è sempre solo il minor prezzo del servizio”.”La lezione che traggo all’indomani della sentenza della Cassazione”, ha concluso l’ex presidente di Cna Fita, “è da un lato la soddisfazione per essermi spesa per una battaglia giusta, dall’altro l’amarezza per la constatazione di come il problema non interessi, non venga arginato in alcun modo e di come non sia cambiato nulla. Non solo, constato anche che nella mia Regione gli unici luoghi deputati alla denuncia, purtroppo sono quelli che fanno parte di un ben preciso mondo dell’anti-mafia che potremmo definire ‘istituzionale’ e che se si è fuori da quel recinto si è di fatto esclusi. E’ da queste riflessioni difficili ma inevitabili che è nata la scelta costruttiva di creare “Ruote Libere”, una libertà prima di tutto da condizionamenti mafiosi e dalla illegalità e per la quale continuerò a impegnarmi in futuro”. Per ultima un’annotazione, destinata, come tutto il resto, a far riflettere: “da presidente nazionale della Fita non sono riuscita, per un voto, a far passare la modifica statutaria che avrebbe consentito più agevolmente future costituzioni di parte civile nei processi per mafia: oggi questa possibilità è uno dei punti fermi dello Statuto di Ruote Libere fortemente voluto da me e da chi ha deciso di condividere questo nuovo percorso”. Una riflessione che non può attendere, così come non può attendere una risposta dello Stato, alla notizia di un possibile attentato proprio contro il giudice anti n’drangheta Nicola Gratteri Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica del Tribunale di Catanzarola che, come emerso da una recentissima intercettazione sarebbe diventato il bersaglio di un attentato di mafia identico a quelli che stroncarono le vite dei suoi colleghi Giovanni Falcone e e Paolo Borsellino.

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