Dieci anni di “visite”, di raccolta e analisi di moltissimi dati, analisi per giungere a quali conclusioni in particolare? “Premesso che l’indagine dovrà proseguire per consentire di allargare il campione e ottenere sempre maggiori informazioni, in linea generale possiamo sintetizzare le problematiche degli autisti in due categorie distinte. Da una parte vi sono le patologie che possono riconoscere una diretta origine professionale, e in queste rientrano le patologie del rachide lombosacrale (ernie discali) da postura, vibrazioni e movimentazione carichi, e le ipoacusie da rumore. Complessivamente abbiamo osservato nel campione in studio una prevalenza del 6.5%. Dall’altra parte abbiamo patologie di ampia diffusione nella popolazione generale, ma che appaiono particolarmente ricorrenti negli autisti, anche influenzate dagli stili di vita condotti, sia alimentari sia di attività fisica. Mi riferisco nello specifico a diabete e ipertensione arteriosa. Due realtà particolarmente critiche considerato che sono patologie degenerative, e che preoccupano in particolare per il fatto che spesso non esiste una corretta diagnosi. Siamo di fronte a una “malattia” che ha una lunga fase iniziale spesso asintomatica e in assenza di controlli mirati di screening possono sfuggire a una diagnosi tempestiva. Realtà, del resto, confermatissima dai nostri campioni d’indagine, con oltre il 70% dei diabetici e il 50% degli ipertesi che sono risultati di prima diagnosi, ovvero soggetti affetti da patologia senza averne conoscenza. Se si considera che nel medio-lungo termine queste patologie possono determinare un danno d’organo tale da compromettere anche la capacità lavorativa e l’idoneità, si comprende la portata del problema”.
Quali sono i problemi che destano più preoccupazione in riferimento all’attività specifica che svolgono i camionisti e che possono comportare non poche responsabilità in materia di sicurezza stradale considerate le conseguenze che può avere un malore al volante? “Sono proprio diabete, ipertensione e più in generale i disturbi del metabolismo le problematiche di maggiore impatto. Un diabetico che non si ponga in terapia, come anche un iperteso, potrebbe in alcune circostanze correre dei rischi legati alla sicurezza nell’immediato, ma anche in assenza di così gravi forme di scompenso a lungo andare potrebbe manifestare dei danni d’organo tali da comprometterne l’idoneità alla guida. Basti pensare al danno visivo nei diabetici o al rischio cardiovascolare per entrambe le patologie”.
Sicurezza stradale che potrebbe essere aumentata se le aziende di autotrasporto facessero sottoporre i propri dipendenti ad accurati esami, cosa che invece, come emerso dal convegno durante il quale avete presentato lo studio, non avviene….. Per quali ragioni? Per mancanza di cultura della salute e della sicurezza o, molto più “terra terra” solo per risparmiare soldi (oppure per entrambe le ragioni)? “Come in tutte le cose non esiste una risposta vera e unica. Probabilmente per entrambi i problemi. Perché fare prevenzione richiede un “investimento”, che come tale deve essere visto ma che a una lettura superficiale potrebbe essere semplicemente catalogato come “costo”. Accettare dunque di spendere dei soldi richiede averne compreso il significato e quindi possedere una cultura su questo tema. È nostro compito anche cercare di diffonderla il più possibile, facendo comprendere ai datori di lavoro e ai lavoratori che è un investimento utile per la salute e la sicurezza, oserei dire anche per preservare la produttività della azienda”.
Come è possibile che in moltissimi casi abbiate fatto voi una prima diagnosi di problemi seri, come per esempio il diabete? Vuol, dire che questi conducenti non si sottoponevano a controlli da anni….? “Esattamente. Molti lavoratori non risultavano adeguatamente controllati. In altri casi era stato anche evidenziato un problema, vedi ipertensione, ma era stato “lasciato correre” per semplicità. Anche i medici a volte si trovano a lavorare in contesti nei quali è richiesta l’idoneità sempre e comunque, senza troppi se e senza troppi esami. Operare in un contesto che ti consenta in piena autonomia di definire se e cosa serva per giungere alla idoneità non è purtroppo ancora un fatto scontato, è ancora un privilegio”.
Problemi cardiovascolari, diabete….. Sotto accusa c’è lo stile di vita dei camionisti, ovvero? Quali sono i comportamenti che creano maggiori danni sulla loro salute?”Sicuramente lo stile alimentare non è quello da prendere a modello (fermo restando che si parla sempre per macrocategorie e che il singolo può fare eccezione). Non solo per “colpa” del lavoratore disattento, ma anche per necessità organizzativa: mangiare quando è consentito dal cronotachigrafo, recuperando quello che il luogo ha da offrire non è detto che rappresenti la condizione ideale. Aggiungiamo una scarsa propensione alla pratica sportiva, spesso giustificata dagli orari e il risultato è un incremento dell’obesità e di conseguenza delle patologie già più volte citate e a essa correlate.
E quali sono le fasce d’età più a rischio? “Una delle fasce più a rischio per diabete è risultata quella tra i 35 e i 59 anni. In uno studio condotto confrontando diverse categorie lavorative tra loro e utilizzando i dati Istat per definire i casi attesi abbiamo potuto constatare un rischio più che raddoppiato di diabete negli autisti appartenenti a questa fascia di età. La criticità risiede anche nel fatto che si tratta di lavoratori ancora giovani, con una lunga aspettativa di vita ma anche con una lunga carriera da percorrere prima del pensionamento, persone dunque su cui una patologia non trattata può avere maggiore impatto”.
I conducenti si giustificano spiegando che la loro vita è regolata dagli orari delle consegne, dal cronotachigrafo digitale e che, quindi mangiano quando e dove possono…. E che con gli orari che fanno di tempo (e voglia….) per fare sport non ne rimane più…. “Esatto. È quanto anticipavo prima. Gli orari risultano flessibili e i ritmi non sono regolati dall’orologio biologico, che ci avvisa sul momento corretto in cui mangiare o dormire, ma da quello “artificiale” del cronotachigrafo, che ci impone delle pause dove e quando scatta il raggiungimento del limite delle ore di guida. Questo sicuramente non aiuta a tenere stili di vita sana e regolare. Però quello che dico sempre agli autisti è che non devono accettare con rassegnazione questo fatto, ma proprio perché sono consapevoli di avere maggiori criticità su questo aspetto devono essere ancora più risoluti. Io che ho orari più o meno regolari posso permettermi di “sgarrare” sulla alimentazione e sulla attività fisica, loro che hanno di base una criticità dettata dagli orari non possono permettersi di trasgredire”.
Esiste un documento che indica linee guida per la tutela della salute dei conducenti… ” “Sono indicazioni che si rivolgono ai medici competenti di imprese di trasporti indicando, tra le altre cose, i protocolli sanitari da applicare. La loro applicazione delle è dunque chiaramente in capo ai medici del lavoro delle imprese, però è chiaro che un datore di lavoro potrebbe chiedere (per non dire pretendere) garanzia dal proprio medico che operi nel solco delle indicazioni fornite dalle società scientifiche. È anche implicito però che lo stesso datore di lavoro deve aver chiari quei principi enunciati in precedenza, le finalità della sorveglianza sanitaria non come adempimento di legge, ma come azione di prevenzione che risulti un investimento per la salute e sicurezza dei lavoratori e per il benessere dunque anche della stessa impresa”.
Se un domani, in un’aula di giustizia dove di dovesse tenere un processo per una disgrazia provocata dal mancato controllo medico di un conducente, un magistrato potrebbe “condannare” la scelta di non aver seguito quelle linee guida? “Io non sono certo in grado di definire se e cosa potrebbe la magistratura imputare, però è certo che aver applicato le linee guida di una società scientifica aiuterebbe dimostrare di aver attuato tutto quanto era possibile fare per prevenire le situazioni di rischio. In presenza di protocolli standardizzati vi sarebbe evidentemente l’onere di argomentare la scelta di non applicarli. Questo non solo per il medico, che è chiamato ad attuare la sorveglianza sanitaria “tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati”, ma anche per il datore di lavoro che non dovesse aver vigilato “.