Sistri, perché dobbiamo pagare per non avere nulla? Con questa domanda si apre la lettera aperta al presidente del Consiglio Matteo Renzi pubblicata (per una di quelle coincidenze curiose accanto alla prima pagina dell’Inserto Controcorrente dedicata ai furti…) sull’edizione di lunedì 21 del Giornale. Una domanda che esige una risposta sul futuro ma deve far riflettere sul passato. Già, perché quella del sistema informatico istituito per tracciare il trasporto di rifiuti pericolosi è una lunga storia e decisamente unica, almeno in quanto ad assurdità. Una storia che inizia nel febbraio 2010 quando i trasportatori vengono chiamati a pagare la tassa destinata a dimostrarsi presto inutile. E non certo perché un sistema di tracciabilità non debba essere introdotto, ma perché da allora non ha mai funzionato. Naturalmente l’invenzione, tutta italiana, non trova riscontro in altri Paesi della Comunità. Ma si sa, quando si tratta di recuperare denaro non siamo secondi a nessuno. Il sistema entra in funzione (si fa per dire) nell’ottobre 2013. Da allora gli operatori del trasporto sono stati costretti (pena maxi sanzioni) a finanziarlo, e pure in anticipo, nonostante le scatole nere non abbiano mai adempiuto all’obiettivo per il quale erano state realizzate. Ai ripetuti appelli che Conftrasporto ha lanciato dedicando al “pasticcio all’italiana” diverse pagine acquistate sul Giornale ha fatto eco solo un imbarazzante (per il Governo) silenzio. Una vera e propria presa in giro. Oggi il governo guidato da Matteo Renzi, e con Gianluca Galletti al volante del ministero all’Ambiente, ha disdettato il Sistri e ha indetto una gara pubblica per far realizzare un nuovo Sistri a un altro soggetto. Ciononostante, mentre i produttori di rifiuti sono esentati dal pagare (non le iscrizioni ma le sanzioni per i mancati versamenti), la gabella è rimasta in vigore per gli autotrasportatori. Chiamati a pagare oltre 15mila euro di multa ogni volta venissero scoperti a viaggiare senza iscrizione. Per il presidente Renzi è degno di un sistema civile?
Paolo Uggé