Autunno caldo. Da quando questa stagione segnò, nel 1969, le grandi lotte operaie, gli italiani hanno fatto l’abitudine a queste due parole. E ai tanti scioperi che puntualmente, dopo l’estate, si sono ripetuti. Anche quello che ci aspetta potrebbe essere un autunno caldo: se l’autotrasporto non avrà le risposte concrete che attende da troppo tempo romperà infatti quella pace sociale portata avanti, con fatica e responsabilità, e ricorrerà alla protesta. E’ un’iniziativa alla quale nessuna federazione responsabile vorrebbe ricorrere, ma allo stesso tempo è l’unica strada rimasta percorribile per una categoria che non può più continuare ad attendere che gli impegni si trasformino in provvedimenti. L’autotrasporto non avanza richieste nuove: chiede solo che quanto sottoscritto dal Governo sia attuato. La spendibilità delle risorse non può restare aleatoria; la forte riduzione delle spese non documentate, un “taglio” per gli artigiani da 110 milioni di euro, non può essere decisa dall’Agenzia delle entrate; gli investimenti devono essere assegnati; i problemi della concorrenza sleale debbono trovare una soluzione, come avvenuto in Germania e Francia, mentre in Italia non sono stati capaci neppure di rendere pienamente operativo l’Albo, strumento individuato proprio per ostacolare la concorrenza sleale. Queste in sintesi le ragioni per le quali l’autunno rischia d’essere caldo: perché esiste un punto di non ritorno ed è stato già oltrepassato. E se qualcuno s’illude che possano esserci divisioni tra le imprese sbaglia di grosso, anche perché altri aspetti vitali per migliaia di imprese attendono soluzioni. I contenuti della Legge di stabilità e i tagli sull’accisa annunciati cementeranno la coesione tra gli operatori. Il fermo del settore avrà un impatto deflagrante per il Paese? Il tempo per evitarlo c’è ancora.
Paolo Uggé