Se ne parla da troppo tempo, senza concludere molto. Il disegno di legge sulla riforma del sistema portuale è stato rimbalzato per almeno due legislature senza che il testo definito sia divenuto legge. La gran parte delle Autorità portuali sono commissariate e questo incide negativamente sia sulla funzionalità dei porti sia sulle economie delle città. Nei mesi scorsi sembrava finalmente che un accordo tra il ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti di allora, Maurizio Lupi, e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, avesse prodotto passi significativi: un gruppo di esperti era stato insediato e un documento elaborato. Poi il nulla. Tutto è ritornato nel vago e ora il neoministro Graziano Delrio annuncia l’arrivo di stanziamenti per interventi sul sistema portuale e l’avvio di quella che a gran voce viene chiamata la logistica portuale. Ma con quale logica? I nuovi interventi sono davvero il frutto di un sistema logistico capace di disegnare una rete generale senza la quale i porti, pur rappresentando un capitolo importante, rischiano di non modificare il corso della storia? I risultati delle scelte di questi anni, durante i quali si è deciso di puntare proprio su interventi infrastrutturali senza che questi appartenessero a una logica di sistema, sono stati evidenziati nella giornata dei trasporti che Confcommercio – Conftrasporto ha tenuto nella scorse settimane a Roma e sono stati confermati nel convegno che Federagenti ha organizzato giovedì 5 giugno a Lerici. I giorni impiegati da un container per uscire dai nostri porti sono ridicoli: 19 contro una media di 9 o 10 nei Paesi nostri concorrenti. Se si vogliono rendere competitive le autostrade del mare italiane occorre rendere più permeabili i nostri porti individuando, come sostiene un armatore di rilievo come Gianluigi Aponte, cinque o sei scali nei quali intervenire per collegarli via treno o strada agli interporti. E per farlo esiste un solo punto di partenza: un Piano generale dei trasporti e della logistica.