Puntuale come una cambiale, con l’abbassarsi del termometro tipico di questo periodo invernale, tornano a salire i valori dell’inquinamento e gli amministratori, pressati dalle “madri salutiste” (preoccupate per la salute dei figli tanto da accompagnarli tutte le mattine a scuola, magari con i Suv che regolarmente parcheggiano a motore acceso in seconda fila) non sanno far altro che ricorrere alle solite misure tanto demagogiche quanto inutili ai fini della riduzione dei livelli d’inquinamento. L’ecopass è stato un mezzo flop? Poco importa. Le domeniche a piedi non funzionano? Non fa nulla. Le scelte non coincidono con quelle della Regione? Intanto si vieti, poi si vedrà. Le misure adottate, e supportate da dichiarazioni roboanti, dimostrano che il sindaco, magari con le elezioni alle porte, si interessa della salute dei propri amministrati. E tutti ci sentiamo un po’ meglio, senza accorgerci che per l’ennesima volta veniamo presi in giro. Tutti gli anni, ogni volta che l’argomento viene affrontato, gli esperti chiedono misure organiche e strutturali, e tutti gli anni queste rimangono nel cassetto. Si possono contare sulle dita delle mani le città che, a oggi, hanno provato a intervenire seriamente. L’ultima, in ordine di tempo, è Roma dove è stato presentato in questi giorni un progetto, condiviso dai principali attori della mobilità urbana, che avvia un percorso razionale destinato, nel tempo, a produrre certamente i risultati sperati. La chiave di volta è la razionalizzazione dell’ingresso in città secondo una logica premiale basata sul fatto che i mezzi ecologicamente avanzati possano entrare in tutte le ore mentre gli altri solo in determinate ore e in più debbano pagare, e che di fatto costringa gli operatori a condividere le soluzioni proposte per non risultare penalizzati. Spostandoci 600 chilometri più a nord, i dati elaborati alcuni mesi fa dal tavolo permanente della Regione Lombardia dovrebbero indurre tutti a ricercare simili soluzioni. I motori diesel sono responsabili per circa il 30 per cento del pm10. Se si toglie il 14 per cento attribuibile a fonti non legate alla circolazione, rimane un 16 per cento da suddividere tra il trasporto locale, i mezzi dedicati alla raccolta dei rifiuti, le autovetture diesel che sono più del 50 per cento di quelle in circolazione e infine i veicoli che effettuano raccolta e distribuzione merci. La soluzione di penalizzare, a prescindere, chi consente alla città di muoversi, è solo inutile oltre che demagogica. Non lo affermo io, lo dimostrano i dati che “fotografano” come i livelli d’inquinamento rispondano a un’altra logica. Uno studio di alcuni anni fa elaborato dall’assessorato all’ambiente del Comune di Milano dimostrò che un autobus di città aveva un potere di inquinamento proprio per il Pm 10, pari a 2300 vetture. Cos’altro si deve attendere per affrontare il tema della mobilità urbana con razionalità? Perché i comuni non affrontano concretamente la questione assumendo a riferimento esperienze positive già in atto? Le città di Parma,Vicenza, Padova e Roma, realtà urbana certamente complessa, hanno indicato un percorso razionale e strutturale; altri preferiscono praticare la cultura del divieto, anziché del fare. Restano due speranze: il Piano della logistica, che ricomprende anche la filiera della mobilità urbana, e la direttiva dell’Unione europea, attualmente in preparazione, che obbligherà i nostri sindaci a schemi standard. Ma è possibile che chi amministra non trovi il coraggio di attuare decisioni utili senza attendere le imposizioni dall’alto, alibi molto comodi? Oppure è vero che il coraggio non si compra al mercato e chi non lo ha non se lo può dare…
Paolo Uggé