Si chiama L’isola che non c’è, proprio come il luogo immaginario di Peter Pan, in cui solo i bambini possono accedere, grazie alla loro immaginazione. Ma quest’isola è tristemente reale, fin troppo secondo qualcuno. Perchè questa “isola che non c’è” è un monumento, realizzato nel trevigiano per sensibilizzare i giovani contro le stragi sulle strade. Ci sono rottami, caschi, fotografie e due manichini che indossano abiti veri, lacerati e insanguinati. Sono quelli di Chiara Filippin e Omar Artuso, due fidanzati di 23 e 24 anni, morti il 12 luglio 2009 nello scontro tra la loro moto e l’auto di un cinese che non aveva rispettato la precedenza. Ora gli stessi vestiti indossati quella sera dai due ragazzi sono finiti in questo monumento che sarà inaugurato il 26 febbraio a Fonte e che girerà in varie zone del trevigiano, fuori dalle scuole e dalle discoteche.
Un monumento che racconta di come una giornata normale, con un pranzo in famiglia e una gita al mare, si possa trasformare in una tragedia raccontata nel pannello e riportata dal Corriere della Sera (clicca qui per leggere l’articolo completo). “Un puzzle di cronaca e monito, in cui le foto dei giorni felici si incastrano con un mezzo devastato dallo schianto, i caschi graffiati dall’urto, una scarpa slacciata, una cassetta postale per il recapito di eventuali messaggi, gli articoli di giornale. E quei due fantocci con le facce blu-viola solcate di sangue, avatar di quello che però non è un film, adagiati perpendicolarmente l’uno all’altro, con le teste vicine ma gli sguardi che non si incroceranno mai più. Il monumento è stato chiamato «L’isola che non c’è». Ovvero «il luogo dove risiedono i desideri, dove mai si potrebbe verificare quanto accaduto, ma anche il luogo dei pensieri, della riflessione sulla realtà degli accadimenti che a volte si dissociano crudamente dall’apparenza, la fabbrica di quello che si vorrebbe fosse e della bellezza». Perché «l’isola che non c’è è abitata solo da giovani e Chiara ed Omar sono nella parte più bella!».
Qualcuno l’ha già chiamato monumento-choc e del fatto che sia toccante se ne sono accorti subito i parenti. “Me ne sono accorto guardando gli studenti che collaboravano con me nell’allestimento: non scherzavano più, non parlavano neanche, semplicemente si fermavano a guardare e pensare”, racconta Italo Filippin al Corriere, anima di un’iniziativa concordata con il centro di formazione professionale della Fondazione Opera Montegrappa, l’istituto in cui aveva studiato Omar e con la sezione di Treviso dell’Associazione nazionale vittime della strada.