“L’automobile”, ha dichiarato il ministro Matteoli alla presentazione, “rappresenta un tassello imprescindibile per capire le moderne società post-industriali e comprendere i mutamenti sociali ed economici nel corso degli anni. Questo volume è interessante anche per l’approccio positivo nel riconoscere le grandi possibilità che la scienza offre all’uomo nel suo rapporto con la natura”.
“La prima automobile nel nostro Paese appare nel 1893”, ha sottolineato il presidente dell’Aci, Enrico Gelpi, “e appena cinque anni dopo nasce l’Automobile Club d’Italia, del quale il volume evidenzia l’impegno istituzionale a sostegno dello sviluppo dell’automobilismo e a tutela degli interessi degli automobilisti. Un impegno che oggi emerge ancora con più forza con la promozione della cultura della mobilità sicura, efficiente e rispettosa dell’ambiente”.
“L’auto è un paradigma dell’evoluzione dell’uomo”, ha evidenziato il segretario generale dell’Aci, Ascanio Rozera, “al punto da sconvolgere il modo di vivere e di pensare dell’individuo. Tuttavia i primi anni della sua comparsa non sono stati caratterizzati da vittorie scontate: agli inizi, l’automobile si è dovuta scontrare con realtà preesistenti, più economiche e altrettanto innovative. Ma l’auto, come strumento di libertà e di indipendenza, si è imposta come mezzo preferito degli italiani. Per il XXI secolo si preannuncia una grande sfida economica, ambientale e di sostenibilità energetica”.
“L’evoluzione del motore a scoppio e quella del Paese”, ha dichiarato il direttore della Fondazione Aci “Filippo Caracciolo” e coordinatore del volume, Michele Giardiello, “procedono di pari passo nel corso della storia. Nel libro raccontiamo come ci sia voluto un secolo per arrivare all’automobile di oggi: un’occasione diversa se diventa sostenibile, funesta se provoca morti e feriti sulle strade”.
Le curiosità del libro
La prima auto in Italia
Acquistata da Gaetano Rossi, industriale di Piovene Rocchette (VI), “che si trovò a guidare liberamente a fianco di pedoni o di cavalli e buoi, che, non abituati ad un arnese tanto rumoroso, si spaventavano, facendo andare a finire molte carrozze e carri dentro i fossi”.
Patente sì, patente no
Nel 1901 “non furono ben accette le disposizioni che di fatto introdussero la licenza a guidare, ovvero la patente. La tesi degli oppositori a questa norma si basava sull’assunto secondo il quale lo Stato si sarebbe fatto dispensatore di abilità e capacità nel tenere la guida, cosa che non poteva essere valutata e constatata con obiettività. Il rilascio della patente avrebbe potuto infondere, ai neo-guidatori, una falsa sicurezza, portatrice di guai. Comunque conseguire un particolare documento per la guida divenne obbligatorio nel 1905, fino ad allora era prevista una licenza costituita da un libretto sul quale dovevano essere annotate le eventuali contravvenzioni”.
Il primo patentato: all’esame ne sapeva più lui dell’istruttore
Nel 1901 “il signor Carlo Carulli, divenne il primo cittadino di Cremona in grado di guidare un’auto a tutti gli effetti. Infatti sostenne l’esame di guida che si concretizzò in una passeggiata dove lui stesso illustrò all’ingegnere che lo stava esaminando i particolari tecnici del veicolo a motore. Ottenne così la licenza di conduttore. Il signor Carulli decise, a partire dal 1910, di costituire la prima attività di servizio pubblico; allora una corsa in città costava lire 1,50 ma per i lunghi viaggi si richiedevano dagli 80 ai 90 centesimi al km. Il costo della benzina era di 40 centesimi al litro”.
Lei non sa chi sono io…
“Da un verbale di contravvenzione del 31 ottobre 1911 esteso da Giuseppe Fiorini, brigadiere di Polizia urbana nel Comune di Cesena, si evince che mentre il tutore dell’ordine era in servizio vide arrivare un’auto che avvisava i passanti con una tromba a diversi suoni, comportamento vietato dall’art. 6 del Regolamento del 29 luglio del 1909. Dopo aver intimato al guidatore di non usare quel suono, il brigadiere riferì di essere stato aggredito verbalmente e con disprezzo dall’automobilista con tali parole: “farà i conti con me, sono un deputato e prima di pagare devono demandare l’autorizzazione a procedere”. Subito dopo, il brigadiere raccontò che l’uomo si era allontanato continuando a suonare la tromba a forti suoni, con disprezzo delle autorità”.
1925. Il primo semaforo: la prima causa di congestione…
In Lombardia venne sperimentato il primo semaforo l’1 aprile 1925, così descritto da un corrispondente dell’epoca: “Lì, nel centro del fatal crocicchio, l’innocente sostegno di una lampada è divenuto il pilone del sistema circolatorio, l’albero maestro di una incredibile giostra. Il semaforo campeggia e risplende su quell’antenna, superbo e misterioso come un oracolo”. Funzionava quotidianamente dalle 15,15 alle 19,15 e si illuminava con una luce rossa indicante lo stop per le automobili e i motocicli; bianca e rossa per il via ai pedoni, e lo stop ai veicoli; gialla per il via ai tram; verde per il via alle automobili e ai motocicli. Tuttavia il semaforo, inizialmente, non realizzò la sua funzione perché il pubblico, non abituato a tali segnalazioni luminose, non si adeguò ad esse ma, anzi, fu catturato dalla curiosità di ammirarle. E infatti invece di circolare, automobili, carrozze, biciclette e motociclette stavano fermi, creando code su più file”.
1928. Limiti di velocità? Liberi tutti, su tutte le strade
“Il primo Regolamento del 1901 inerente ai “veicoli semoventi senza guida di rotaie”, stabilì che la velocità non superasse i 25 km/h in aperta campagna e “quella di un cavallo al trotto” circa 15 km/h nei centri abitati. Per di più, lo “chauffeur” avrebbe dovuto, oltre che ottemperare alle ulteriori disposizioni eventualmente emesse dai Comuni, moderare la velocità nei tratti di strada pericolosi (curve, dossi) e ogni qualvolta potesse esservi pericolosi accidenti, o di spavento a persone o ad animali. La velocità salì progressivamente a 40 km/h nelle successive elaborazioni dei Regolamenti sulla circolazione stradale (tra il 1905 e il 1912) per arrivare a 50 Km/h, fuori dei centri abitati, con il Regolamento n. 811 del 1914. Questa situazione rimase immutata finché nel 1928 non giunse il principio “liberi tutti su tutte le strade, comprese quelle all’interno dei centri abitati”.
Quando a Torino si teneva la sinistra come in Inghilterra
Alla fine del ‘800, “in alcune città come quelle della Lombardia nella circolazione stradale si teneva la destra, mentre in altre Regioni si teneva la sinistra: per esempio a Torino le automobili procedevano “a manca” per seguire i tram, che nell’intero Paese apparvero ad imitazione di quelli inglesi che procedevano, appunto, a mancina. Ma le difficoltà erano maggiori nelle città in cui, addirittura, si proseguiva in un senso nell’interno dell’abitato (quartiere) e in senso inverso al di fuori”.
Il Regio Decreto 8 gennaio 1905 cercò di dirimere l’ardua questione, ma… “Con tale testo, infatti, venne introdotta la norma per la quale i veicoli nel procedere sulla strada dovevano tenere costantemente la destra e solo per oltrepassarne altri veicoli la sinistra. Tuttavia alle città che avevano più di 25.000 abitanti fu riservata la facoltà di prescrivere che all’interno del loro abitato si potesse tenere la sinistra, purché provvedessero ad avvisare gli stranieri tramite la segnalazione di appositi cartelli con la scritta “Tenere la sinistra”. Ne derivò, com’è facilmente intuibile, una gran confusione”.
Roma all’avanguardia, Milano retrograda…
“Dopo quindici mesi dall’emanazione del nuovo Codice, nella rivista Auto Italiana del 15 marzo 1925, si leggeva che “a decorrere dal 1 marzo a Roma è stato attuato il cambiamento del senso di circolazione da sinistra a destra. Così ora entrando a Milano l’automobilista che avrà girato tutta l’Italia tenendo la destra dovrà passare a sinistra. Per una volta tanto la capitale morale ha voluto mostrarsi retrograda di fronte alla capitale reale”.
Guida a destra e volante a… destra!
“A complicare lo stato delle cose fu la collocazione del volante nelle automobili circolanti in Italia, che fin dall’inizio fu a destra. Per cui ci si trovò da una parte con un Codice che imponeva, con scarsa chiarezza, la mano a destra, e dall’altra con la maggioranza delle vetture che avevano il volante a destra, contravvenendo quindi al principio, oggi naturale, secondo cui il guidatore deve stare seduto dalla parte opposta al senso di marcia. Invero, tenendo la destra e con il conducente seduto a destra, quest’ultimo si trovava nella stessa condizione del guidatore del veicolo che incrociava, in tal modo i due automobilisti essendo separati dalla larghezza delle due carrozzerie e non potendo vedere il lato della rispettiva vettura, potevano creare un pericolo di scontro l’una con l’altra”.
È possibile scaricare gratuitamente una copia del libro a questo link http://www.fondazionecaracciolo.aci.it/fileadmin/caracciolo/documenti/Automobile_ffc.pdf