Ormai è diventato un refrain, un ritornello sulla bocca di tutti: il dopo Covid ci dovrà lasciare in eredità una mobilità più sostenibile: belle parole, belle intenzioni come troppo spesso accade nel nostro Paese, o “dovrà essere davvero così”? “Durante il periodo complesso che abbiamo attraversato si è effettivamente animato il dibattito su un ripensamento delle nostre abitudini e delle regole di convivenza. Credo sia inevitabile di fronte a un obiettivo rimescolamento delle priorità individuali e collettive. Detto questo, sono emerse anche molte suggestioni e alcuni pensieri più concreti che riguardano la mobilità. Quello individuale è sicuramente l’ambito che sul breve periodo sarà maggiormente interessato da questo cambiamento e per questo riceve più attenzione sulla sostenibilità. È sicuramente una cosa molto buona, quando non è intaccata da cieca ideologia. Tutti i maggiori costruttori di veicoli sono impegnati nel migliorare la sostenibilità ambientale dei veicoli e anche la domanda è sempre più attenta ed esigente. Il dopo Covid è solo un’occasione in più per far convergere l’impegno di tutti, non può certamente essere scambiato per un interruttore magico che stravolge in un click la mobilità. E quando parlo di convergenza mi riferisco al fatto che se l’industria della mobilità, l’offerta, e i cittadini, la domanda, sono pronti, è necessario che anche le istituzioni siano pronte a fare la propria parte per rivitalizzare il mercato”.
Sono in molti a sostenere che per trasformare le parole in fatti nel dopo Covid dovremo imparare a viaggiare o sempre più su due ruote. Per esempio perché la principale misura per assicurare il contenimento del coronavirus è distanziamento sociale e perché le due ruote rappresenterebbero un “mezzo” per garantirla “a ridotto consumo di spazio in movimento e in parcheggio”. Può aiutarci a capire meglio?
“Le due ruote hanno delle prerogative esclusive. Bici, scooter e moto assicurano infatti un naturale distanziamento sociale, maggiore sostenibilità ambientale, maggiore velocità di percorrenza sui brevi e lunghi tragitti e facilità di parcheggio, ma anche una valida predisposizione all’intermodalità e minore impatto sul traffico urbano, che in questa fase può essere messo a dura prova anche dal ridimensionamento del trasporto pubblico. Sfruttare queste peculiarità al meglio per la mobilità individuale, soprattutto nelle città, può essere sicuramente vantaggioso per molti cittadini”.
Per favorire l’uso di mezzi puliti come biciclette ma anche monopattini elettrici sono stati stanziati 120 milioni: una scelta condivisibile o si poteva / si doveva fare altro? Lei a nome di Confindustria Ancma (Associazione nazionale ciclo motociclo accessori), ha sottoscritto una lettera, inviata al presidente del consiglio, Giuseppe Conte e ai ministri dei Trasporti e dello Sport, chiedendo, per esempio aiuti anche per incentivare, attraverso una defiscalizzazione, l’acquisto degli indispensabili supporti di sicurezza, ovvero casco e abbigliamento tecnico, magari per usare la moto anche con il brutto tempo.
“Gli incentivi per biciclette e monopattini sono obiettivamente una misura positiva e generosa, non solo per il sostegno che offrono al comparto produttivo, ma anche per la loro valenza culturale e per il circolo virtuoso che possono innescare nella pubblica opinione e nelle istituzioni per programmare una mobilità urbana finalmente più modellata attorno alle due ruote e attenta ad esse. Di fronte a un potenziale aumento dell’utilizzo delle due ruote, siano esse a motore o a pedale, il tema della sicurezza non può tuttavia essere marginale. Per la nostra associazione è da sempre prioritario e per questo abbiamo chiesto forme di defiscalizzazione per l’acquisto di abbigliamento protettivo, che anche di fronte allo stato in cui versa la manutenzione di molte strade, rappresenta un investimento importante e rassicurante per gli utenti”.
L”uso di biciclette incentivato in un Paese che ha però una rete di piste ciclabili ancora inadeguata (quasi ridicola se paragonata ad altri Paesi del Nord Europa): prima di “spingere” l’acquisto delle due ruote non sarebbe opportuno finanziare nuovi progetti di percorsi riservati? Non c’è il rischio di vedere, per esempio, i marciapiedi invasi da monopattini?
“Questo è sicuramente il rovescio della medaglia più antipatico. E, mettendo da parte per un attimo il tema dai monopattini che si muovono all’interno di un contesto normativo sperimentale e ancora poco definito, è questo il vero punto. Come anticipavo le istituzioni devono vedere in questo momento un’occasione per progettare realmente un’infrastrutturazione ciclabile coraggiosa e rispettosa di tutti gli utenti della strada, senza soluzioni emergenziali, o peggio ideologiche, di corto respiro. La rivoluzione di cui molti parlano deve essere dolce come la mobilità che promette la bicicletta e deve essere il più partecipata e strategica possibile, in modo anche da essere attrattiva per investimenti statali solidi e anche per i privati, che in una rete ciclabile diffusa possono vedere uno sviluppo turistico e imprenditoriale molto interessante”.
E prima di “spingere” l’acquisto di biciclette non sarebbe più giusto favorire quello di caschi e altre protezioni visto che i ciclisti sono costretti a percorrere spesso sentieri di guerra?
“Uno non esclude l’altro. Ormai siamo di fronte a un quadro delineato: gli incentivi ci sono e mi piace sottolineare che anche l’industria del settore, con tutta la filiera a essa collegata, sta facendo la propria parte. Noi non ci stancheremo certamente di chiedere nuovamente forme di incentivazione e una politica più organica sulla mobilità a due ruote”.
Non servirebbero anche “progetti” per facilitare l’uso di scooter e moto sulle strade, magari con corsie preferenziali o altro, per rendere più sicuri gli spostamenti su due ruote che, nel traffico, sono spesso pericolosi?
“L’apertura delle corsie preferenziale alle due ruote è una pratica diffusa in molte metropoli europee come Londra, Barcellona e Stoccolma e costituisce un valore aggiunto. Il progetto e-SUM – European Safer Urban Motorcycling, per esempio, evidenzia una sensibile riduzione del tasso di incidentalità delle due ruote compresa tra il 25% e il 30%, senza che questo vada a impattare negativamente sulla durata dei tempi di percorrenza dei mezzi pubblici. In Italia non è consentivo ovunque e l’accesso è ancora marginale, come evidenzia la nostra ricerca FOCUS2R, ma credo che estendere a tutte le città questa opportunità costituisca già un ottimo punto di partenza”.
Sempre seguendo questo discorso: prima di favorire l’uso di scooter e moto, non sarebbe obbligatorio riparare le migliaia di buche disseminate lungo le strade? Le due ruote possono rappresentare ancora di più, in questo periodo, una valida alternativa ma non dovrebbero consentire di farlo in sicurezza? Non c’è il rischio di far aumentare il numero di feriti e vittime causati dalle buche che sono già numerosi?
“Certamente, i percorsi cittadini in particolare possono essere pericolosi per gli utenti delle due ruote, che per il 40% sono vittime di terzi e per il 30% vittime delle condizioni delle infrastrutture stesse. È indispensabile investire anche sull’educazione stradale e i comportamenti dei singoli, ma è evidente che ogni tipo di investimento, compresi quelli che le case e i produttori di abbigliamento protettivo fanno per migliorare la sicurezza attiva e passiva, non può essere vanificato da una buca. È inaccettabile e su questo l’associazione si sta facendo sentire”.
“Le due ruote a pedale possono essere un’alternativa ma con precisi limiti: grandi distanze non possono certo essere percorse in bici, soprattutto per chi magari deve percorrere decine di chilometri per andare al lavoro: pensa possano esistere reali possibilità che in un futuro non troppo lontano possa essere sviluppata un’”integrazione” fra mezzi a due ruote e mezzi di trasporto pubblici, per esempio bus e treni sui quali caricare le duo ruote in caso di spostamenti lunghi (anche tenendo conto del distanziamento sociale da assicurare sui mezzi?)
“Va detto che il successo che sta riscuotendo la bicicletta a pedalata assistita va nella direzione di dare a chiunque la possibilità di percorrere distanze maggiori. Tuttavia il tema dell’intermodalità è centrale per lo sviluppo di una modalità urbana più completa e a misura d’uomo. Per come si sono trasformate, le città costituivano già nel periodo pre-Covid il banco di prova per antonomasia di una rinnovata strategia di pianificazione e governance della mobilità, perché sono state al contempo causa ed effetto di modalità di spostamenti differenti e della loro integrazione”.
Realizzazione di piste ciclabili, integrazione fra diverse modalità di trasporto: tutto questo porta a una considerazione: la necessità di un’unica “cabina di regia” composta da politici capaci di pianificare gli interventi, di “connetterli (per esempio riparando le buche prima di spingere u n motociclista a finirci dentro….): esiste davvero una possibilità che in un Paese abituato a decidere finanziamenti a pioggia e interventi del tutto slegati fra di loro possa avvenire?
“La rivoluzione dolce a cui facevo riferimento prima passa proprio da questo. Abbiamo di fronte un’occasione importante: io vedo una cabina di regia molto snella, istituita solo per decidere e nella quale devono sedere istituzioni, associazione e privati. Il momento è giusto e come associazione non ci sottrarremo”.
Spesso basta copiare altri esempi per risolvere un problema: c’è qualche esempio, in Europa, che vorrebbe segnalare al nostro Governo?
“Il nostro, nel bene e nel male, è un Paese molto particolare, con caratteristiche uniche. E per certi versi, sulla mobilità, soprattutto a due ruote, abbiamo davanti molto lavoro da fare. Per la responsabilità e il ruolo di locomotiva che Milano ha all’interno del Paese, ma anche come cerniera dell’Italia con il resto d’Europa, credo che possa aspirare a essere un embrione della cabina di regia di cui abbiamo parlato. Se si smorza ogni componente ideologica od oltranzista e si riesce a fare una sintesi responsabile degli interessi in gioco, il capoluogo lombardo può esso stesso diventare un esempio”.
“Fin dall’inizio della pandemia Alis, grazie ad i nostri operatori che svolgono servizi di trasporto marittimo, ha assicurato la consegna di merci e beni di prima necessità ed il trasporto dei passeggeri muniti di autocertificazione. ALIS si è inoltre impegnata, senza alcun sussidio pubblico, a garantire la continuità territoriale – sia economica sia sociale – con le isole, tutelando i principi della libera concorrenza e la libera scelta per i viaggiatori. Oggi troviamo inaccettabile che, in una fase che dovrebbe essere di ripartenza per l’intero Paese, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti insieme al Ministero della Salute abbiano emanato un decreto improvviso che consente di viaggiare da e per l’isola solo ed esclusivamente con la compagnia CIN-Tirrenia, pur essendo stata annunciata proprio dalla data odierna la libera circolazione tra le Regioni”.
E’ quanto dichiarato dal Direttore Generale di ALIS Marcello Di Caterina dopo l’emanazione del decreto datato 2 giugno, firmato dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministro della Salute, che dispone ulteriori limitazioni al trasporto passeggeri da e per la Sardegna. In particolare, nel decreto si legge che “Fino alla data del 12 giugno il trasporto marittimo di viaggiatori di linea da e verso la Sardegna è limitato ai servizi svolti in continuità territoriale, tutti i collegamenti da e per la Sardegna verso i porti nazionali e viceversa saranno riattivati dal 13 giugno”.
“Non riusciamo a comprendere come proprio le Istituzioni si siano fatte promotrici di una simile situazione in palese violazione della libera concorrenza a danno sia dei passeggeri, in primis dei cittadini sardi, che si trovano così costretti a dover viaggiare solo con un operatore senza poter scegliere una compagnia alternativa- aggiunge Di Caterina -sia delle compagnie di navigazione, che nel frattempo hanno rispettato tutti i protocolli sanitari e che rischiano di dover subire problemi di ordine pubblico nei porti, per non parlare delle problematiche che potrebbero crearsi in considerazione di tutte quelle famiglie che ora potrebbero non riuscire a raggiungere facilmente la Sardegna”.
“E ciò che ci lascia ancora più stupiti- conclude il Direttore Generale di ALIS – è che tale decisione, che dovrebbe invece accompagnare un momento di ripresa dei collegamenti marittimi e di libera circolazione nel territorio nazionale, è stata assunta subito dopo un’altra gravissima scelta compiuta dal Governo, ovvero la disposizione contenuta nel Decreto Rilancio con la quale viene rinnovata senza nuova gara e per ulteriori dodici mesi la convenzione statale di circa 72 milioni di euro, sempre nei confronti di CIN-Tirrenia, nonostante la stessa fosse in scadenza il prossimo 18 luglio 2020”.