Quello che all’inizio era un grido di dolore ora è diventato un coro assordante: praticamente non passa giorno senza che chi rappresenta le imprese dell’autotrasporto, gli intermediari, i lavoratori, evidenzi con insistenza come da troppo tempo la politica dei trasporti sia scomparsa dal tavolo delle discussioni politiche e di governo. Eppure quelle “grida di dolore” non vengono raccolte: sembra assurdo, ma nonostante nel mondo dei trasporti le grida accomunino tutti, chi ha il dovere di occuparsene risponde con un fragoroso silenzio. Infischiandosene perfino degli insegnamenti della storia (in qualche caso forse ignorando la materia….) che racconta come ai tempi delle guerre d’indipendenza vi fu un re del Piemonte che lanciò la frase, poi divenuta l’elemento sul quale si innescarono le guerre d’indipendenza: “Non possiamo essere insensibili alle tante grida di dolore che da tante parti d’Italia si levano verso di noi”. È pur vero che le soluzioni a un problema possono essere diverse tra loro, ma senza nessuno che se ne occupi l’unico risultato possibile è una solenne bocciatura. Dell’intero Paese che sul tema dei trasporti e della logistica si gioca il futuro. Nessuno intende colpevolizzare il titolare attuale del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, ma non è oggettivamente possibile fare a meno di indicare come responsabile tutta la classe politica che sostiene il Governo: sono mesi che al dicastero guidato da Danilo Toninelli mancano un vice ministro e un sottosegretario e ancora non si sono trovati i sostituti. Cosa pensare se non a un’evidente sottovalutazione della politica dei trasporti? La qualcosa fa rabbrividire: basti pensare a quanto questo settore sia indispensabile per la competitività, quanto sia oggi vitale per l’economia italiana connettere non solo il Paese al suo interno, ma anche con il resto d’Europa. Perfino i sindacati dei lavoratori si sono finalmente resi conto di quanto sia negativa per tutti i loro aderenti la teoria del non fare che è alla base della decrescita felice, affermando a gran voce che “riprendere a connettere l’Italia significa avere un quadro programmatico sulle infrastrutture prioritarie da realizzare, anche perché bloccare i cantieri significa ingessare un Paese congestionato”. Un altro grido di dolore che si è aggiunto al coro di fronte al quale, come affermava un re, “non possiamo essere insensibili”. Così come non è possibile restare zitti e fermi di fronte a scelte incomprensibili e inaccettabili: vi sono misure che riguardano le imprese di autotrasporto oggetto di un accordo sottoscritto e di una legge approvata dal Parlamento che ancora non vedono la luce. Una lettera è stata inviata negli ultimi giorni al Governo da parte dell’Unatras: un grido di dolore messo nero su bianco, in modo che nessuno possa poi dire: “non ho sentito”. E, ancora, solo poche ore fa in un partecipatissimo convegno Assarmatori ha nuovamente evidenziato le lacune e le carenze di un sistema che attende il completamento di una riforma dei porti avviata ma anch’essa sprofondata nelle paludi del dogma del “non fare”, senza dimenticare i collegamenti stradali e ferroviari che vedono i governi del Tirolo e dell’Austria impegnati in iniziative non compatibili con i principi europei e che stanno affossando non solo i trasporti ma l’intero sistema produttivo. Situazione anche questa urlata ai quattro venti, ma senza ottenere troppo ascolto da parte di chi, forse – a questo punto il dubbio è forte – non vuol sentire? E mentre tutto questo accade i giornali continuano a informarci che i partiti che formano la coalizione di governo sono impegnati su temi che suscitano l’interesse solo degli addetti alla “politica politicante” ma non risolvono i temi dell’economia. Sicuri che sia la strada giusta per avvicinare alla politica la gente, quei moltissimi elettori che hanno chiaramente manifestato il loro disinteresse (e in molti casi disprezzo) per una politica così gestita? Ascoltare dichiarazioni sulla inutilità della Tav e poi leggere che forse conviene realizzarla per non sostenere costi tre volte maggiori; constatare che il ponte Morandi, tassello importante per l’economia di un’intera regione e della linea di collegamento con la Francia, non ha potuto essere funzionante come avrebbe invece potuto per colpa di un’attività politica fatta sulle spalle della gente (questo non significa non ricercare le responsabilità per applicare a chi è responsabile le massime sanzioni); attendere la soluzione idonea per il trasporto aereo, anche in questo caso rallentata da una politica miope fondata sull’invidia; ritrovarsi dopo pochi mesi dalla ripartenza con uno stabilimento siderurgico che rischia la chiusura coinvolgendo migliaia di lavoratori e facendo perdere al sistema economico italiano un punto di forza della siderurgia continentale: tutto questo non solo preoccupa, fa “incazzare”. Perché così non si risolvono i problemi dei cittadini e non si forniscono soluzioni alla nostra economia ma si generano invece le condizioni per l’impoverimento generale. Continuare a essere insensibili alle tante grida di dolore che da tante parti d’Italia si levano può essere molto pericoloso.
Paolo Uggé, vicepresidente di Conftrasporto e Confcommercio