Strada Facendo

C’era una volta il camionista italiano. Ormai al volante ci sono solo stranieri

Walter LilliPer capire in che direzione sta viaggiando il mondo dell’autotrasporto, può bastare poco. Può essere sufficiente, per esempio, fare un solo viaggio seduti al fianco di un autotrasportatore. Marco Berry, ex “Iena” che nei mesi scorsi ha deciso di mettersi alla guida di un nuovo format televisivo dedicato al mondo dell’autotrasporto, “Inarrestabili”, andato in onda sull’emittente La 7, dove stia andando il mondo dell’autotrasporto italiano se l’è sentito spiegare in poche, semplici quanto chiare, parole da uno degli autotrasportatori con i quali ha percorso, da nord a sud l’Italia: Walter Lilli, camionista di 53 anni perugino, titolare della Trans Lilli. Una manciata di parole capaci di fotografare il baratro in cui è precipitata questa professione meglio di qualsiasi studio realizzato da chissà quali superesperti. “Prima durante i nostri viaggi su 100 camion che incontravamo ne trovavamo 99 italiani. Adesso 100 su 100 sono stranieri”. Parole che pesano come macigni così come del resto quelle pronunciate pochi istanti dopo: “Questo è un lavoro che mi è sempre piaciuto, ma adesso non mi piace più.  Sono a un bivio e vorrei cambiare lavoro, ma non saprei cosa fare dopo aver fatto per tutta la vita questo mestiere”. Un bivio al quale sono giunti migliaia di altri suoi colleghi in tutta Italia, persone che, come Walter Lilli “con questo mestiere non guadagnano più”. Già, perché è impossibile guadagnare incassando “80 centesimi al chilometro”, come ha spiegato l’autotrasportatore perugino. Cifre ridicole (oltre che “pericolosissime”, considerato che con quelle tariffe nessuna impresa di autotrasporto può realisticamente pensare di far viaggiare Tir sicuri, con un’adeguata manutenzione e guidati da veri professionisti del volante) alle quali fanno da contraltare, quasi a voler aggiungere al danno la beffa, leggi troppo restrittive e concorrenza sleale, il tutto sullo sfondo di una crisi economica senza precedenti. Perché allora continuare? La domanda che migliaia di autotrasportatori si sono fatti negli ultimi anni, se l’è fatta anche Walter Lilli, e la sua risposta, probabilmente, è identica a quella di migliaia di colleghi. “Perché non saprei cosa altro fare, e per la famiglia”. Famiglia che, nel caso dell’autotrasportatore perugino, condivide con lui gioie (poche) e dolori (tanti) del mestiere, con la moglie e la figlia Patrizia in ufficio, a occuparsi dell’organizzazione e della contabilità, e il figlio Valentino al volante di un bisonte della strada come papà. Unico a non aver la benché minima voglia di seguire le orme paterne è invece l’ultimo dei tre figli, Federico, che col padre condivide invece un’altra passione: quella delle corse in auto. Hobby nel quale entrambi sembrano decisamente bravi, a giudicare dagli articoli dei giornali dedicati a raccontare i loro successi alla guida di auto sportive. Padre e figlio appaiono riuniti sul podio in una foto che ha catturato un momento raro della vita di Walter Lilli: lui con la famiglia. Perché per sua stessa ammissione (oltre che dei figli), Walter Lilli, di tempo in famiglia ne ha trascorso ben poco. Sempre fuori da casa, sempre in giro per l’Italia o per l’Europa. A tenere alta la sua fama di camionista playboy che si è cucito addosso? Difficile dirlo, anche se al termine della puntata degli Inarrestabili  (per rivederla: http://www.la7.it/inarrestabili/video/marco-berry-riparte-per-una-nuova-avventura-con-walter-lilli-29-07-2014-135140) verrebbe spontaneo sottoscrivere le parole di Marco Berry: “Dietro l’aspetto allegro da playboy, del camionista senza pancia e galante che fa il baciamano alle committenti, e che viaggia in una cabina “tipo night” dove con le luci soffuse sembra davvero d’essere in un locale notturno,  si nasconde un uomo pronto a mettersi sempre in discussione”. Quella del latin lover è davvero solo una facciata, dietro il quale ama celarsi un uomo che afferma, con aria spavalda, di non tornare a casa perché “vive in una zona sismica e ha una fifa blu del terremoto”; che ammette di non aver “mai detto ai figli come è andata oggi a scuola”, perché lui per i figli ha voluto essere “un padre non con le parole ma con i fatti, cercando di dare loro tutto economicamente, perché oggi se non hai i soldi non vai da nessuna parte”. Ma quando getta la maschera Walter Lilli si mostra per quello che è. Il figlio che ogni giorno, ovunque si trovi, rivolge un pensiero al padre morto schiacciato sotto un trattore che si è rovesciato, in un sabato in cui lui era come sempre lontano da casa; il padre che dopo essersi ribaltato col camion sul quale dormiva, nella cuccetta, il figlioletto di 11 anni, si è sentito morire dentro, al punto da urlare il suo nome senza che dalla sua bocca uscisse un solo rumore. E ha cominciato a rivivere solo quando la voce terrorizzata del figlio gli ha detto “sono qui”. Un uomo “duro” all’apparenza, ma buono e gentile sotto quella scorza di ruvidità, come sanno esserlo solo gli autotrasportatori. Altro aspetto di questa categoria di lavoratori che Marco Berry ha scoperto viaggiando al loro fianco…

Testo realizzato da Baskerville srl  Comunicazione & Immagine per stradafacendo.tgcom24.it

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