Il camionista più “forte” d’Italia? In realtà è una donna piccola e minuta…
Pietro Barachetti
Pensi all’immagine del camionista e t’immagini una montagna di muscoli perfettamente proporzionato al bisonte della strada che guida ogni giorno. Perché solo una simile forza della natura, dici a te stesso, può fare un lavoro simile, può domare un bestione da 300 quintali. Poi una sera, facendo zapping in tv, ti capitad’incrociare un programma dedicato alla vita“on the road” di chi viaggia per lavoro e scopri che il camionista più forte che esistanon è affatto un sosia di Mike Tyson, e che non è neppure un uomo. È una donna, di 34 anni ma dall’aspetto di una ragazzina, piccola di statura, esile per non dire gracile, che scommetteresti non possieda nemmeno la forza di girare lo sterzo, una volta salita, a fatica, in cabina… Invece lei, Agata De Rosa, napoletana trapiantata in provincia di Bergamo, ha davvero una forza da leonessa. Che non mostra solo nel guidare un tir, ma nell’affrontare ogni ostacolo della vita. E lei di ostacoli, sul suo percorso, ne ha incontrati tanti. A cominciare dalla morte, prematura, del padre, il suo eroe di quand’era bambina e che d’estate, terminata la scuola, la scorrazzava in giro per l’Italia sul suo tir. Il padre amico-fratello-confidente che le ha trasmesso la passione per questo mestiere. Il suo eroe ancora oggi, più che mai, col quale spesso parla quando al volante attraversa l’Italia da Nord a Sud. Magari con la vista offuscata dalle lacrime che non è riuscita a trattenerequando gli ha confidato, come se fosse seduto lì accanto a lei, che non ce l’aveva fatta a pagare il leasing del camion che aveva acquistato per lui e che gli aveva dedicato, con tanto di aerografia del porto di Taranto, dove il padre aveva lavorato in Marina, e la scritta “dedicato al mio papà”. Un camion cheAgata ha amato come una persona in carne e ossa e che un altro ostacolo sul percorso della sua vita le ha portato via: un ostacolo che ha il volto della crisi economica e che ha travolto la sua piccola impresa di autotrasporto a conduzione familiare, costringendola a tornare a sedersi in una cabina di guida, ma questa volta da dipendente. Un ostacolo che ha anche il volto di qualche spregiudicato professionista pronto ad approfittare delle sue difficoltà.E a farle dire, con rabbia, che “non c’è giustizia”. Ed è proprio da quel camion che “parte” la puntata di Inarrestabili (il format televisivo guidato dall’ex Iena Marco Berry e coprodotto da Fai Service perraccontare la vita quotidiana di migliaia di autotrasportatori)con protagonista Agata De Rosa. Anche se, a dire la verità, le prima inquadrature non mostrano l’ex Iena e la sua nuova compagna di viaggio su un bisonte dell’asfalto: la partenza della puntata è su una piccola utilitaria con la quale Agata De Rosa accompagna a scuola il figlio Giovanni, prima d’iniziare la nuova giornata di lavoro. Perché Agata è una camionista, ma anche una moglie (di un autotrasportatore) e mamma, di un maschietto che ha già annunciato di voler guidare i camion da grandee di una bimba. Tre ruoli da interpretare ogni giorno senza potersi permettere di “fermarsi mai” perchè i tanti ostacoli sul cammino della vita non lo consentono. E lei, Agata, la minuscola camionista che ha fatto gridare a centinaia di forzutissimi colleghi maschi seduti davanti al teleschermo“sei una forza, sei grande”, lo sa benissimo. L’ha sempre saputo fin da quando, a soli 19 anni, ha deciso che quello dell’autotrasportatore sarebbe stato il suo lavoro, che quella era la sua strada. Una strada dura, difficile, capace di far compiere una retromarcia anche a colleghi con le spalle molto più larghe, ma non lei, la più forte di tutti. Una forza invincibile di fronte alla quale ha dovuto arrendersi anche la madre, che di nascosto telefonava ai titolari di imprese di autotrasporto ai quali la figlia si era presentata per avere un lavoro da autista, per pregarli di non dare ad Agata alcun lavoro. Una resa che è scattata quando la figlia, in uno dei primi suoi viaggi, ha incontrato sul suo cammino una banda di rapinatori: quattro malviventi che non hanno esitato a sequestrarla, rinchiudendola in un’auto mentre il rimorchio veniva svuotato, a puntarle una pistola alla testa e a dirle che ora “avevano i suoi documenti, sapevano dove andarla a trovare se avesse fiatato”. Roba da terrorizzare chiunque, aveva pensato la madre, da farle passare una volta per tutte la voglia di fare quel mestieraccio da uomo. E invece Agata era ripartita il giorno seguente, come se nulla fosse successo. “Racconti di vita vissuta” che Agata De Rosa ha confidato a Marco Berry con la consapevolezza che si è trattato di qualcosa di grave ma che “comunque bisogna sempre ripartire”. Come sempre, come in questa nuova giornata di lavoro particolarissima, circondati dalle telecamere degli operatori tv, partita come peggio non avrebbe potuto, con un incarico prima confermato e poi saltato; sostituito da un altro lavoro, con un’altra destinazione, svanito a sua volta all’improvviso; fino a ottenere finalmente un carico e una destinazione “veri”. Una destinazione da raggiungere il più in fretta possibile non solo perchè i tempi di consegna vanno mantenuti, altrimenti il rischio è di aver lavorato gratis; ma soprattutto perché oggi è più fondamentale che mai rientrare a casa puntualissimi, prima che chiuda la concessionaria dove il camion dedicato al padre è stato venduto. Da domani mattina non sarà più lì e per Agata e quasi come dire addio al padre un’altra volta. Ed è stato impossibile non commuoversi (non solo per lei ma per tanti muscolosi colleghi davanti allo schermo) quando Agata è salita per l’ultima volta nella cabina, per confessare a Marco Berry che “un camion diventa come una persona:quando ci hai passato cinque anni insieme è difficile separarsi”. Perfino il distacco da un oggetto inanimato può diventare un momento terribile. Perfino per una forza della natura come Agata, che ha continuato a guidare tir lungo le strade di Belgio e Francia fino al quinto mese di gravidanza e che, una volta nato Giovanni, se l’è portato in giro per il mondo, con la culla, in cabina. Immaginidi un album dei ricordi che davanti all’occhio indiscreto delle telecamere Agata ripercorre mentalmente sorridendo, così come il suo volto di ragazzina si apre in un sorriso contagioso quando sfoglia altre immagini del passato a cui è legatissima. Quelle del papà sul camion; quelle del matrimonio, avvenuto con un autotrasportatore. Una storia d’amore che ha viaggiato in fretta e che li ha portati in pochi mesi, dal primissimo casuale incontro, al matrimonio. Festeggiato, ricorda Agata, in un ristorante “scelto più che in base al menù alle dimensioni del parcheggio. Perchè lo sposo è arrivato sul suo tir, la sposa su quello del padre e la maggior parte di parenti e amici-colleghi viaggiava in camion…”. Autotrasportati dall’amore, c’era scritto sullo striscione tenuto sospesodagli invitati sopra le teste degli sposi per una foto ricordo. L’amore comune per un mestiere che oggi, confessa Agata, “fai solo se hai una passione tremenda e un coraggio da vendere. Perché la situazione è pesantissima, perchènon è ricominciare da capo che mi spaventa: quello che mi fa paura è il lavoro che non c’è”.E quel poco che c’è è da dividere con troppa concorrenza, spesso sleale. Come quella portata dai trasportatori dell’Est che hanno invaso le strade, come testimonia la scommessa fatta, “in diretta” da Agata De Rosa con Marco Berry: “Siamo in provincia di Bergamo, scommettiamo che se controlliamo le targhe ne troviamo più di quelli dei Paesi del’Est che italiani”? Conducenti stranieri nei confronti dei quali non bisogna avere alcuna discriminazione, a condizione che siano in grado di garantire la stessa professionalità e la stessa garanzia di sicurezza sulle strade che, fino a oggi, ha potuto assicurare Agata De Rosa, la cui voce fa trapelare una giustificata punta d’orgoglio quando, mani ben salde sul volante e sguardo fisso in avanti, svelache lei “in 15 anni di lavoro, con quasi un milione di chilometri percorsi, partendo alla mattina all’alba quando gli amici della compagnia rientravano dalla discoteca, non ha mai perso un carico e non ha mai ribaltato una volta”. Il tutto detto facendo gli scongiuri. Perchè, spiega scaramanticamente la camionista napoletana che non teme nessun percorso al mondo ma non guiderebbe mai un’utilitaria nel traffico di Napoli, “non vorrei iniziare proprio oggi”. E perché anche senza incidenti di percorso la strada è già complicatissima. Anche per una pronta a ricominciare sempre daccapo, sapendo che il padre, dall’alto, l’aiuterà a trovare sempre la strada giusta. Arrivando magari un giorno a riacquistare quel camion da cui non avrebbe mai voluto separarsi…