Un sistema ingegnoso nella sua semplicità: trovare persone in difficoltà economica e in cerca di un prestito agevolato, far risultare che il prestito fosse per l’acquisto di un’auto (i tassi sono favorevoli per il mercato delle quattro ruote) che poi veniva rivenduta allo stesso concessionario.
La truffa iniziava insomma con un’attività lecita di veicoli nuovi e usati oltre che di capi di abbigliamento e accessori (dalle tute da motociclista ai giubbotti ai caschi). Auto e abbigliamento venivano proposti anche a persone in difficoltà economiche proponendo finanziamenti molto agevolati. Agevolati dalla truffa, viene da dire, dato che una volta accettata la pratica del prestito da parte della finanziaria il richiedente riceveva in anticipo una parte dei soldi direttamente dal titolare dell’autosalone. Questo incassava invece l’intero assegno della finanziaria e faceva figurare una nuova vendita dell’auto dal cliente al concessionario che gliela ripagava come usato.
L’usura si concretizzava con i guadagni ottenuti dalla differenza tra la somma finanziata e quella effettivamente consegnata dal titolare dell’autosalone al suo cliente che, invece, doveva restituirla nella sua totalità alla finanziaria nel corso degli anni. Un sistema all’apparenza regolare visto che le auto risultavano vendute e quindi fatturate e riacquistate dopo poco tempo per essere di nuovo immesse nel mercato a un prezzo più basso.
Con queste attività la ditta riusciva a incrementare il proprio giro d’affari acquistando terreni, immobili, enormi “stock” di veicoli, così da dettare una forma di monopolio non solo nella provincia di Cuneo, ma in tutto il Piemonte.
Ad aumentare la clientela contribuivano le forme pubblicitarie promosse dall’azienda, che proponevano prestiti agevoli e facilitati, il ritiro dell’usato e la vendita di veicoli nuovi a prezzi stracciati.