Rider per pagarsi gli studi investito e ucciso: il licenziamento via sms automatico grida vendetta

“Si chiamava Sebastian Galassi, e aveva 26 anni. È deceduto lo scorso 2 ottobre, a Firenze. È stato travolto e ucciso da un suv di sabato sera. Faceva quel lavoro per pagarsi gli studi senza pesare sul padre pensionato. Mentre si consumava la sua agonia, durata ore, un algoritmo ha registrato le lamentele degli utenti che non avevano ricevuto il proprio ordine. E ha proceduto a mandare una mail al rider, dicendogli che era licenziato dalla sua azienda, Glovo. Una mail automatica, generata da un algoritmo. Che licenziava un morto sul lavoro, letta dai parenti di Sebastian che ne ha rinfocolato il dolore. Glovo si è poi scusata e ha promesso di pagare una parte dei funerali. Ma come è possibile che in Italia si venga licenziati via mail da un algoritmo?” A scriverlo (e a porre una domanda alla quale ognuno dovrebbe dare risposta), è Stefano Marrone, una delle firme del giornale on line True-news.it, che ha invitato tutti a dare la propria risposta firmando una petizione postata sulla piattaforma change.org (clicca qui per leggerla ed eventualmente firmarla) . Una petizione nella quale l’autore chiede “al Governo Italiano di intervenire per garantire delle tutele minime ai lavoratori; e alle imprese della Gig-economy di rispettare la dignità di chi fornisce un servizio prezioso, ma con ancora troppe poche garanzie”. E questo  partendo da un presupposto: “Non è una questione contrattuale: un rider può essere un dipendente o autonomo, rimane un lavoratore e come tale va tutelato”. Anche da rischio che un algoritmo possa licenziare in automatico i lavoratori. Un appello nel quale l’autore della petizione si rifà a quanto pubblicato proprio in un articolo da “True-news.it, “ un piccolo giornale che però ha il cuore grande”, come lo definisce Stefano Marrone, “che pensa che l’Italia debba garantire condizioni lavorative dignitose a tutti i livelli. Indipendentemente dalla mansione e dalla tipologia contrattuale”, con “gli algoritmi che possono semplificare il lavoro, non disumanizzarlo”. Un editoriale, quello postato da True-news.it” a  firma del direttore Fabio Massa, che esorta  tutti a riflettere sulla tragedia del giovanissimo rider compiendo un viaggio a ritroso nel tempo, fino all’inizio della pandemia,  al primo lockdown. Con “noi tutti chiusi in casa, mentre un esercito di disperati – questo dicono le loro retribuzioni – percorreva le strade deserte per portarci a casa generi alimentari e di prima necessità”, e con “la politica, sia di destra che di sinistra, che verso questo esercito di schiavi – questo attestano i loro contratti – si è limitata a un silenzio assordante. Finché un giudice a Milano, di nome Fabio Roia”, si legge sempre nell’editoriale a firma di Fabio Massa, “ ha deciso che era abbastanza e ha scoperchiato un vaso di Pandora”. Scoprendo “contratti di subappalto e trattamenti disumani. A quel punto la musica è cambiata, in parte. Alcuni rider hanno ottenuto tutele. Un passo avanti, ma c’è ancora molto da fare. Lo dimostra un morto”. Un morto di  appena 26 anni che pedalava lungo le strade non per tenersi in forma, per “perdere peso”, ma per non “pesare” sul bilancio, probabilmente già di suo particolarmente “magro” (e senza nessuna felicità per esserlo) del padre pensionato. Un ragazzo chiaramente con dei valori diversissimi da quelli di chi preferisce invece stare  a casa davanti a un videogioco aspettando un reddito di cittadinanza. E che invece di un bonifico ha ricevuto lo schiaffo morale di un “messaggino” inviato da un algoritmo che lo  licenziava mentre lui stava agonizzando. Un nuovo moderno peccato che grida vendetta al cospetto di Dio.

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