Delocalizzazione, e-commerce: il Coronavirus ci fa scoprire che avevamo preso strade sbagliate?

A volte accadono fatti imprevisti, perfino inspiegabili, che portano a vedere le cose sotto un diverso punto di vista, mai preso in considerazione prima. Fatti inattesi che fanno mettere sotto un microscopio cose che fino a ieri, viste a occhio nudo, senza preoccuparsi troppo di “ingrandirle”, apparivano assolutamente normalissime, giuste, perfette. L’epidemia di Coronavirus è una di queste. E fra le cose che sta facendo scoprire attraverso una nuova lente d’ingrandimento, invitandoci a cercare diverse chiavi di lettura rispetto a quelle consuete e diventate normali,magari solo  per abitudine, ci sono anche l’organizzazione e la gestione delle merci, dei mercati, con particolare riferimento al loro trasporto, alla logistica con la quale viene realizzata la loro distribuzione nel mondo. Facendo emergere, per esempio, tutta la  debolezza di un sistema orientato alla delocalizzazione, oppure l’altra faccia delle medaglia (che è sempre quella meno splendente) della corsa sfrenata agli acquisti fatti on line, dell’aumento all’e-commerce. Prima che suonasse l’allarme  per il nuovo contagio, stavamo affrontando il problema nelle grandi città  delle consegne a domicilio, di come conciliare questo fenomeno ancora in embrione, con il grave problema ambientale: ora, di fronte a una “polmonite sconosciuta” ci troviamo improvvisamente di fronte a  bar e ristoranti che hanno più che dimezzato la loro attività, ai supermercati presi d’assalto “armati” di carrello, a un ritorno alle vecchie sane abitudini di cucinare in casa  con tutto quello che ne comporta per la logistica distributiva. Una “rivoluzione” momentanea (dovuta all’epidemia di un virus probabilmente pericoloso ma, soprattutto, alla paura che sembra aver  contagiato moltissime persone diventate all’improvviso incapaci di agire razionalmente di riflettere) e con la prospettiva (almeno ce lo auguriamo) di tornare presto alla  alla normalità. Che non potrà però forse mai più essere come prima, con l’economia nazionale e l’industria manifatturiera che dovranno ripensare la diversificazione delle linee di approvvigionamento. La logistica da questa bruttissima esperienza vissuta per l’emergenza sanitaria può ricavare molti spunti di riflessione e , soprattutto, ricavarne importanti “vaccini” in termini di una nuova e diversa organizzazione e gestione. Anche grazie al fatto d’essere  l’attività economica più flessibile di tutte, in tutti i componenti della sua filiera, in particolare l’autotrasporto in tutte le sue declinazioni, fatto di uomini abituati a risolvere i problemi con la massima rapidità. Settimane fa, prima che si avesse notizia di qualche persona contagiata in Italia, gli operatori del nostro settore e in particolare quelli lombardi, avevano già cominciato a chiedersi cosa sarebbe successo a seguito di un fermo della produzione cinese, rispetto soprattutto alla drastica riduzione dell’import da quelle zone. Erano stati analizzati diversi scenari: mancato arrivo dei container, riduzione delle attività nei porti, e negli aeroporti, riduzione dei trasporti terrestri, fermi di alcune linee di produzione, mancanza di alcuni ricambi auto in particolare quelli pesanti tipo dischi freni, semiassi, sospensioni ecc.  E si era ipotizzato un periodo di  due o tre mesi per il ritorno alla normalità. Poi,  con i primi casi del lodigiano, ben prima che il Governo prendesse le misure che ormai conosciamo, e co alcune multinazionali avevano chiuso l’accesso ai loro magazzini nella zona, coinvolgendo quindi un’altra serie di attività,  gli scenari sono mutati. Obbligando a nuove riflessioni,  sull’intero sistema  che fa “muovere i mercati”, sulla logistica distributiva, sulla reale necessitàdi avere un prodotto consegnato a casa entro poche ore. Anche dal male può nascere il bene. La frase pronunciata da monsignor Cavina, vescovo di Carpi, all’indomani  del terremoto in Emilia del 2012, potrebbe valere anche per l’emergenza Coronavirus

Claudio Fraconti, presidente Fai Milano-Lodi-Monza Brianza

11 risposte a “Delocalizzazione, e-commerce: il Coronavirus ci fa scoprire che avevamo preso strade sbagliate?

  1. Ebbene si. E aggiungo che la Romania vi sta bloccando anche gli autisti che rientrano in quarantena. Lo dico da anni, vi ridurrete coi piazzali pieni di merce, i telefoni squillanti di ordini ma nessuno che vi faccia il lavoro. Vediamo se e quanto la capirete.

  2. L’Italia ha bisogno di trovarsi nella m…. fino al collo per agire…. Stamattina accendo la tv e sento un signore dire che metteranno i distributori di gel disinfettanti sui treni. Metterli “prima” per fare prevenzione, senza aspettare un nuovo virus no? Nei 100 euro e 50 centesimi che mi chiedono di pagare per andare da Bergamo a Roma sul Frecciarossa (un autentico invito a usare i mezzi pubblici……) non c’erano quei 50 centesimi da dedicare alla prevenzione? No, servivano per pagare altro (magari mezzo milione di euro all’anno a qualche manager……).

  3. Gli imprenditori (come il signor Fraconti) fanno riflessioni (che mettono a disposizione scrivendole…..) che i politici però non sembrano in grado di fare. E quel che è peggio è che non si prendono neanche la briga di leggere simili riflessioni (hanno altro da fare di ben più importanti, i “tavoli di lavoro”, le conferenze stampa dove andare a dire che il Corona è un “VAIRUS”…… all’inglese.

  4. Sull’uscita di alto livello culturale del “ministro Vairus” il grande Vittorio Feltri ha già rilasciato un esilarante, quanto esaustivo commento. A proposito perchè stradafacendo non lo linka?

  5. Una valanga di poveri idioti che, se non ricevevano il pacco ordinato via e mail tre ore prima, cominciavano a scaricare il loro stress sul telefonino inviando decine di messaggi….Questa era diventata l’umanità prima del Coronavirus. Magari è un segnale che qualcuno ci ha inviato per farci capire?

  6. Signor Fraconti buongiorno, le sue riflessioni mi hanno fatto riflettere su un altro fatto: dove sta andando un mondo che costruisce mega centri commerciali in quantità industriale (e inutile, tant’è che alcuni stanno fallendo…..) svuotando i centri delle città dai negozi che tengono viva una via, un quartiere? Nessuno ha pensato che facendo morire il negozio di vicinato sarebbero morte le città? E nessuno, peggio ancora, ha pensato che avere un negozio sotto casa, o a 100, 200, 500 metri, implica che io scendo a piedi a fare la spesa senza usare l’auto, senza inquinare, senza imbottigliarmi in code chilometriche del sabato diretti verso quei terribili ammassi di ferro e cemento dove ci si sta col fiato sul collo uno con l’altro? Come ha detto qualcuno, non tutti i mali vengono per nuocere…

  7. Cara Marika, come hai ragione nella Tua analisi. Esiste tuttavia un problema ed che l’acqua o il vento non si fermano con le mani. Allora chi ha la rappresentanza di quei negozianti la frase più adeguata che ho sentito a proposito è quella pronunciata più volte dal presidente di Confcommercio Carlo Sangalli: “ogni negozio che chiude è un pezzo di città che si spegne e rimane il buio” I grandi iper mercati non sono così messi bene infatti molti di proprietà estera se ne stanno andando (Auchan mi pare sia l’ultimo). Allora perché non immaginare proposte che sappiano coniugare quanto c’è di nuovo con l’attività del negozio di vicinato? Forse qualcuno dovrebbe pensarci seriamente.

  8. Dove l’imbecillità umana non può arrivare arriva madre natura che costringe, con un’emergenza, gli omini a riflettere…Ma ci voleva davvero un’epidemia di polmonite per capire che era da imbecilli vivere ordinando un acquisto via computer e pretendere che il corriere arrivasse in due ore? La nuova cultura del “tutto e subito” ha creato danni spaventosi (basti pensare alle relazioni, con quei poveretti di ragazzini che a 11 anni hanno già il cellulare ultimo modello e si scambiano messaggini diventando degli “isolati” che non sono più capaci di incontrarsi, parlarsi, discutere…. Adesso a “isolarli” ci pensa la polmonite cinese (e sottolineo, cinese, perché è stata la Cina a diffonderla, non l’Italia come in tanti stanno dicendo…..

  9. Vicini di casa in condominio che fino a ieri non si salutavano quasi neppure e che oggi si preoccupano uno dell’altro ( ci sono diversi casi perfino nel mio…..): ci voleva la “scossa” del Coronavirus per farci rendere conto che stavamo diventando dei robot poco umani?

Rispondi a Marco (Milano) Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *