Contratto nazionale dei trasporti, chiuderlo in fretta si può. Basta solo volerlo

Nel fine settimana un altro sciopero nei trasporti pubblici sembra non aver avuto il successo auspicato dagli organizzatori, ma la  “Triplice” non demorde: tramite stampa, Cgil Cisl e Uil si sono fatte vive anche sul fronte del trasporto merci minacciando, in caso non ci sia la conclusione delle trattative, un nuovo sciopero dei lavoratori del settore nei giorni 11 e 12 dicembre. Eppure qualche organizzazione avrebbe dato la disponibilità a sottoscrivere quanto già concordato. Perché allora le imprese disponibili al rinnovo contrattuale devono vedersi l’attività bloccata e i lavoratori avere decurtazioni salariali? Mistero. La responsabilità sarebbe  delle federazioni che rappresentano le imprese di trasporto e logistica (quasi centomila imprese) che effettuano con automezzi propri anche la vezione e che intendono affrontare problemi di competitività. Perché non limitare l’azione sindacale a queste realtà? Perché “forzare” il coinvolgimento di altre? Forse per timore di un nuovo clamoroso fiasco dopo  l’adesione “quasi totale” annunciata dai sindacati ma che non è mai esistita ed è stata clamorosamente sbugiardata anche dalle immagini delle telecamere presenti sulle strade italiane che mostravano la solita circolazione di mezzi pesanti? Se i rappresentanti dei lavoratori sono convinti che le loro rivendicazioni non rischieranno di mettere fuori mercato, ancor più di quanto già non avvenga oggi, le imprese nazionali, è nel loro diritto procedere con le iniziative di lotta. Come dovrebbe essere, del resto, un loro dovere occuparsi anche di delocalizzazioni, utilizzo del personale in somministrazione, ricorso a padroncini: temi questi ultimi che sembrano invece lasciarli del tutto indifferenti. Anziché sostenere teorie fantasiose sulla presunta intenzione di togliere i diritti acquisiti come la quattordicesima, perché non approfondire proposte che non riducono la retribuzione netta dei lavoratori ma intervengono sul costo del lavoro? Perché non rendere noto che i contratti di secondo livello, territoriali, potranno essere stipulati solo da chi fa riferimento alle parti firmatarie del contratto nazionale? Così non si indeboliscono i lavoratori o le loro rappresentanze ma al contrario si rafforza il principio della cogestione. Ormai è evidente a tutti con quanta forza si pone il tema della rappresentatività. Concordiamo che l’organismo di rilevanza costituzionale, il Cnel, non abrogato, si occupi di certificare la rappresentanza dei sindacati e delle parti datoriali: finiranno così le dichiarazioni irreali, come quella di attribuirsi 60mila imprese aderenti in un settore per il quale Unioncamere ne certifica per quella categoria solo 11mila. Concordiamo anche sul principio che chi esercita l’attività in proprio, senza collaboratori, non abbia identico peso di chi fornisce occupazione. Ma non è il caso del trasporto merci: sono invece le realtà che esercitano un’attività di organizzazione o di intermediazione (attività legittime) che non debbono essere prevalenti nel definire le condizioni contrattuali dei dipendenti di imprese aderenti a nove realtà presenti nel Comitato dell’Albo dell’autotrasporto, riconosciute rappresentative da un decreto del ministro, e che muovono la gran parte degli oltre trecentomila automezzi che operano nel settore. Il tema vero è il costo del lavoro ma, a oggi, i rappresentanti dei lavoratori sono stati per lo più assenti dal dibattito. La scelta è fra divenire protagonisti di una reale tutela di chi lavora o invece portare avanti obiettivi che poco hanno a che vedere con gli interessi di lavoratori e imprese. Chiudere il contratto si può e si può fare in fretta. Basta rendersi conto che le condizioni sono mutate.    

Paolo Uggé, presidente Fai Conftrasporto e vicepresidente Confcommercio

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