Via della Seta, per l’Italia può essere un’opportunità. O un gravissimo pericolo….

Da una parte un senatore romano cieco, Appio Claudio, che 2000 anni fa ha saputo “vedere” tutta l’importanza di realizzare strade e infrastrutture per diventare grandi, addirittura per conquistare il mondo; dall’altra la Roma di oggi, intesa come centro del potere politico italiano, che non sembra più capace di leggere e capire questa importanza. Ha giocato su questo parallelismo il quotidiano Libero per fotografare la situazione del nostro Paese alla luce di un nuovo fatto epocale: il progetto della Cina di partire alla conquista dell’economia mondiale. Guarda caso attraverso una rete di collegamenti: la via della Seta, la grande intuizione del presidente Xi Jinping di aprire, attraverso sei corridoi, una nuova strada per far incontrare Oriente e Occidente. Una nuova via che potrebbe rappresentare una straordinaria opportunità di crescita economica anche per l’Italia, ma che allo stesso tempo potrebbe trasformarsi in un terribile rischio: quello di essere “scavalcati” da altri Paesi, da altri collegamenti. Primi fra tutti quello “in partenza” dai porti greci del Pireo e di Salonicco dai quali le merci potrebbero proseguire il proprio viaggio, via asfalto e via, per  “approdare” sui mercati del Nord Europa. Perché questo pericolo? Per esempio perché un consorzio a controllo tedesco ha recentemente acquisito il 67 per cento del porto di Salonicco dopo che nel 2016 il porto del Pireo era già stato venduto al colosso cinese del trasporto marittimo Cosco; per esempio perché da questi due porti il flusso delle merci potrebbe raggiungere il Nord Europa bypassando attraverso i Paesi balcanici l’Italia, colpevole di essere rimasta alla finestra a guardare. Frenata, addirittura paralizzata, dalla cecità che 2300 anni fa non aveva impedito a un senatore di “tracciare” una fittissima rete di collegamenti: la cecità “ideologica” di chi ha fatto di tutto per rallentare e modificare quel tragitto verso la crescita e la competitività del nostro lavoro, della nostra economia e che era invece stato delineato chiaramente da chi, come l’ex ministro italiano alle Infrastrutture e ai Trasporti Pietro Lunardi, sapeva vederci invece benissimo. Se si fosse condivisa quella strategia (delineata  dall’allora Commissaria ai trasporti Ue, Loyola de Palacyo e “sposata” dal nostro Governo) che attraverso le grandi reti di comunicazione Ten “costruiva” un futuro sistema infrastrutturale europeo, una rete di collegamenti con una logica ben precisa, indicando una short list con i dieci corridoi più urgenti dei quali quattro interessavano l’Italia, oggi l’Italia non sarebbe dov’è: ferma a un palo, pronta a essere sorpassata. Sarebbe bastato comprendere l’importanza di  potenziare i porti e la retroportualità di Genova, Savona, La Spezia e Livorno per quanto riguarda il Nord Est e, a Ovest, di Trieste, Venezia e Ravenna per mettere in cassaforte, negli anni a venire, decine di migliaia di posti di lavoro. Potendo contare, per di più, su un vantaggio iniziale incredibile: vivere e lavorare in un Paese che, per la sua collocazione, rappresenta naturalmente la miglior piattaforma logistica in Mediterraneo che si possa sognare. In cosa bisogna sperare ora? Che l’Italia, dopo essere rimasta seduta a guardare, si rialzi all’improvviso e si metta a correre per recuperare il tempo perduto. Occorre individuare innanzitutto un’area portuale per fare sistema in Adriatico, rafforzando con scelte adeguate il primo importantissimo passo compiuto con la firma del decreto per il porto franco internazionale di Trieste e individuare la “rotta” migliore per rilanciare il Tirreno. E poi bisogna offrire alle merci in entrata nel Mediterraneo la possibilità di avere due terminali infrastrutturalmente adeguati ed efficienti sui quali contare, che siano competitivi come lo è il porto di Rotterdam, modernamente attrezzato, capace di smaltire i carichi di lavoro nella metà, in un terzo del tempo che serve nei porti italiani affondati dalla burocrazia. E infine occorre fare tutto questo agendo come un unico sistema, con un’unica cabina di regia, connettendo i porti con il sistema ferroviario e stradale, e questo anche per evitare “clientele” destinate a  generare iniziative in grado di svilire la positiva azione del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio. Altrimenti le merci cinesi metteranno fuori gioco i sistemi produttivi europei e conseguentemente anche le imprese di trasporto, in modo particolare quelle navali; altrimenti il Belpaese sarà relegato a recitare un ruolo d’insignificante pedina sullo scacchiere dell’economia, della finanza, della politica che verranno; altrimenti i viaggi che il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha effettuato in Cina saranno stati solo un gita di piacere…”. 

Paolo Uggè, presidente di Fai Conftrasporto e vicepresidente di Confcommercio

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