Un camionista in Italia costa 60mila euro, all’Est 26mila. Anita: “Dati sconcertanti”

In Italia il costo del lavoro per un autista è di 60mila euro. Nell’Ovest Europa è di 40mila e nell’Europa dell’Est la cifra scende a 26mila. “Dati sconcertanti”, commenta il presidente di Anita, Thomas Baumgartner, “che scoraggerebbero chiunque a mantenere la propria attività in Italia eppure molte imprese di autotrasporto e logistica continuano a credere in questo Paese e a svolgere qui la propria attività sopravvivendo alla crisi economica”.

I dati citati da Anita sono quelli dello studio Unrae (riferiti al periodo 2008-2013) che certificano un vero e proprio esodo delle imprese italiane, con posti di lavoro persi e mancati introiti per le casse dello Stato. Una situazione drammatica che ha fatto chiedere a Pasquale Russo di Unatras “quante altre centinaia, migliaia di imprese dovranno ancora fuggire dal nostro Paese prima che il Governo cambi la sua politica dell’autotrasporto?” (clicca qui per altri dettagli). Intanto, come spiega Anita in una nota citando sempre i dati dell’indagine, bisogna fare i conti con “una contrazione dell’occupazione di 197.000 posti di lavori con conseguente mancato contributo Irpef, 2.000 flotte del trasporto merci che hanno cessato l’attività, una perdita di introito per le casse dello Stato pari a 10 miliardi di euro perduti dalle accise sui carburanti, 420 milioni di mancati introiti di Irap, un calo delle immatricolazioni dei veicoli di massa totale complessiva superiore alle 3,5 tonnellate pari a 5.200 unità all’anno dal 2008. Il costo del lavoro in Italia è pari a 60 mila euro all’anno per ogni autista contro i 40 mila dell’Ovest Europa e i 26 mila dell’Europa dell’Est pari al 48 per cento in più rispetto alla media europea. La pressione fiscale è la seconda voce a pesare sui conti delle imprese di autotrasporto italiane che raggiunge il 66 per cento contro il 36 per cento della media europea. Un altro motivo che ha portato le aziende italiane del comparto a delocalizzare è la difficoltà burocratica in termini di tempo per l’ottenimento di permessi, autorizzazioni, procedure per richiedere rimborsi che pesano il 56 per cento”.
“È tempo che il governo dia delle risposte alle imprese di autotrasporto, un settore trainante per l’economia italiana, e che dia seguito a tutte quelle misure che da tempo sono state portate all’attenzione del legislatore”, ha proseguito il presidente di Anita, Thomas Baumgartner, “misure necessarie a contrastare il fenomeno del dumping sociale, ad abbassare la pressione fiscale e il costo del lavoro per il rilancio dell’occupazione, anche considerando la possibilità di inserire il doppio registro che si tradurrebbe in un’uniformazione delle regole relative alle imposte e ai contributi per gli autisti che effettuano trasporti internazionali”.

5 risposte a “Un camionista in Italia costa 60mila euro, all’Est 26mila. Anita: “Dati sconcertanti”

  1. Ora si lamentano del dumping sociale? Ma vergognatevi che in Italia ci sono grandi flotte che utilizzano autisti Dell’ est da una vita assunti tramite agenzie rumene …con la scusa che in Italia non si trovano più autisti…pagateli secondo il CCNL trasporti e logistica ,pretendete che i trasporti vi vengano pagati secondo le tariffe decise dalla legge e poi vedrete che contrasteremo il dumping sociale! Sono 18 anni che faccio il camionista e sono stufo di leggere le stupidaggini dei sindacalisti che rappresentano le grandi flotte…il trasporto in Italia è fatto dai piccoli trasportatori non dalle grandi flotte però i soldi se li spartiscono sempre quest’ultime, i sindacati e i politici.

  2. «Supera la crisi! Riduci i costi del 40 per cento! Con i lavo­ra­tori inte­ri­nali con con­tratto rumeno».
    Questo il testo di un volantino che circolava per Modena: in corso le indagini.

  3. Il problema non è l’Italia ma l’Europa. Se tu pretendi che convivano paesi dove lo stipendio medio è 500 euro e altri dove lo stipendio medio è di 1.500 euro non sono i dipendenti che si devono diminuire lo stipendio o lo Stato che deve abbassare le tasse. Perché sarebbero formule inutili. In Slovacchia, ad esempio, lo stipendio è di 400 euro e un’azienda paga zero tasse per cinque anni. Tralasciando la gestione del denaro in Italia, noi abbiamo un welfare da mantenere. Chi può vivere con 400 euro o pensa che lo Stato possa mantenere scuole o pensioni senza entrate o è un genio o è presidente di un associazione di categoria. Ma queste persone non capiscono che il concetto è semplice: se io non posso comprare quello che trasporto o produco, perché disoccupato, l’economia entra in una spirale negativa nella quale siamo e si produrrà sempre meno. Creando altri disoccupati. Fino a quando si fermerà. Come sta succedendo. Lo stipendio italiano e francese erano pari, quali 60.000 euro! La differenza la guadagnava l’autista francese, in quando le tasse in Francia erano più basse. Ora visto che si lamenta facciamo come in Francia: i mezzi romeni, slovacchi, polacchi non li potete parcheggiare nella sede in Italia, ma li usate per lavorare in quei Paesi parcheggiandoli nelle filiali ufficiali non ufficiose. Gli autisti romeni slovacchi o polacchi non possono stare fuori per più di un mese, perché comodo schiavizzare la gente la sei mesi e poi dire che l’italiano non ha voglia di lavorare. Poi lo stipendio deve essere pari. Ma in ogni caso tu ci perdi, perché o il romeno, slovacco polacco si trasferisce e investe nell’azienda e nello Stato che lo ospita o lavorerà sempre male perché non ha interesse. Un anno, due e se ne torna a casa. E’ una situazione che scoppierà, e non solo nell’autotrasporto. E sarà l’Europa a doversene fare carico, è inutile prendersela con l’Italia.

  4. Spiega bene un articolo dell’Espresso di due anni fa, digitate sul motore di ricerca “Espresso schiavi romeni” o l’articolo di Ugge’ “la bomba che fara’ esplodere le pensioni”.

  5. Concordo con Alessandro. Il sistema può essere ancora più semplice, la tassazione viene fatta sul veicolo e non sull’autista. Assumi pure un polacco, uno rumeno, sposta la tua sede in Lituania o in Bulgaria, ma appena entri in Italia, paghi all’Italia. La Svizzera lo fa da sempre, gli altri Stati ci stanno girando intorno, ma la soluzione è semplicemente questa qui.

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