Unitai aiuta i trasportatori che vogliono lavorare in Romania ad aprire una sede

“La decisione di aprire un ufficio operativo in Romania presa dall’Unitai, l’Unione delle imprese di trasporti automobilistici italiana, ha avuto come obiettivo quello di prestare assistenza e consulenza alle imprese che effettuassero servizi di trasporto internazionali e che avessero necessità di districarsi tra le complesse normative dei Paesi esteri, ovvero volessero stabilire la propria sede o una filiale in un altro Paese, nel pieno rispetto della normativa legale, del lavoro e fiscale, così come disciplinato da regolamenti e direttive dell’Unione Europea”. A precisarlo sono i responsabili dell’associazione che, all’indomani della pubblicazione, nella sezione Economia del Corriere della Sera oline, dell’articolo dal titolo “Io camionista licenziato perché ho detto no al contratto bulgaro”, hanno ritinuto  opportuno precisare l’attività svolta dall’Unitai oltrefrontiera. “L’Unione imprese trasporti automobilistici italiana, sigla sindacale storica della rappresentanza dell’autotrasporto”, si legge nella lettera inviata anche alla redazione di strafacendo.tgcom24, che ha dato notizia dell’articolo riportato dal Corriere della Sera, “non è complice, né tantomeno si è appoggiata ad alcuna agenzia interinale italiana, per perseguire attività che permettano alle proprie imprese di costringere gli autisti ad accettare le situazioni descritte nell’articolo in questione. Anzi, si sottolinea la completa e corretta applicazione della normativa di settore da parte dell’Unitai e delle imprese associate e si prendono le distanze da situazioni come quelle che hanno visto coinvolto il signor Alessandro Gabanella. Infatti, nel mese di maggio 2013, a seguito di un’autonoma valutazione del proprio consiglio direttivo e al fine di venire incontro alle esigenze della base associativa, l’Unitai ha deciso di aprire un proprio ufficio operativo in Romania per prestare assistenza e consulenza alle imprese che effettuassero servizi di trasporto internazionali, avessero necessità di districarsi tra le complesse normative dei Paesi esteri ovvero volessero stabilire la propria sede o una filiale in un altro Paese, nel pieno rispetto della normativa legale, del lavoro e fiscale, così come disciplinato da regolamenti e direttive dell’Unione Europea”.

9 risposte a “Unitai aiuta i trasportatori che vogliono lavorare in Romania ad aprire una sede

  1. Egregi signori d Unitai, letta la vostra precisazione, vorrei farvi una domanda. Aiutando le imprese di autotrasporto italiane ad aprire sedi all’estero, in questo caso in Romani,a siete perfettamente consapevoli che aiutare imprese italiane a versare contributi non agli enti previdenziali italiani ma a enti previdenziali esteri, aiutando quindi a svuotare le casse dei nostri enti chiamati un domani a garantire la pensione ai lavoratori italiani. Come gestite questa situazione? Sarete voi, un domani, a garantire, presso gli enti previdenziali rumeni, che la pensione ai lavoratori italiani dipendenti di imprese italiane con sede in Romania verrà regolarmente pagata? Grazie per la risposta che vorrete darmi.

  2. Tempo fa su Stradafacendo ho letto un articolo del signor Paolo Uggè che spiegava, in modo chiarissimo, comprensibile a chiunque, compresi i sindacalisti, che l’apertura di sedi nei paesi dell’Est avrebbe fatto saltare per aria il sistema pensionistico italiano. nessuno, fra Cgil, Cisl Uil e Cobas vari è intervenuto su questa “bomba a orologeria” (così l’ha definita il signor Uggè)? Nessu sindacalista è stato in condizione di capire il pericolo? Si sono messi tutti d’accordo per mettere a tacere l’allarme per non disturbare qualche “manovratore”? Adesso l’Unitai ci dice che non solo non ha violanti nessuna norma, ma aiuta le imprese italiane a rispettare le norme europee. nessuno l’ha mai messo in dubbio, credo. quello che si ette in dubbio è se anche i signori dell’Unita, come altri, abbiano capito il madornale errore che si sta commettendo a non cercare di impedire, in tutti i modi, che il lavoro italiano venga “svenduto” ai Paesi dell’Est e che il nostro sistema pensionistico venga distrutto da chi dovrebbe difenderlo! Non serve essere dei geni per capirlo!!!!!!

  3. Vero tutto quello che viene detto. Ma come mai se lo fa la Confindustria (vengono organizzati incontri con imprenditori per illustrare i vantaggi dei fenomeni della delocalizzazione, e si sono aperte sedi in diversi Paesi comunitari, è un’azione intelligente di assistenza alle imprese che merita il plauso e se lo fa l’Unitai, che sappiamo bene essere una delle federazioni minori, si monta questo caso? Non è che, come spesso purtroppo succede, si voglia strumentalizzare per altri fini il tutto? Guardiamo la luna non al dito; quello lo fanno gli stolti.

  4. Enrico, se ad aiutare a delocalizzare è l’Unitai dico che i signori di quell’associazione stanno facendo un danno all’Italia, se a incentivare a delocalizzare è Confindustria dico che fanno un danno moltiplicato per 10mila volte!!!!

  5. Dall’Europa possiamo sempre uscire. Perché qualcuno non comincia a raccogliere firme per un referendum? Io correrei a firmare immediatamente e credo che con me lo farebbero milioni di italiani stanchi di avere una doppia schiera di parassiti da pagare (politici italiani + europarlamentari, eurocommissari, europortaborse….)!!!!!!!!

  6. Le norme europee permettono di utilizzare questi strumenti, il fenomeno non riguarda solo l’Italia ma anche gli altri paesi con costi superiori a quelli dei “nuovi europei”. Il problema non è morale ma economico, chi accede all’utilizzo di costi inferiori ha maggiori possibilità sul mercato. Che oggi in europa viaggiano in gran parte equipaggi di paesi nuovi europei è un dato di fatto, è una scelta dell’europa che come tante altre merita il commento di Pietro.
    Ma questo è.

  7. Nessuna ha legato la loro apertura alla vicenda dell’autista, l’autista ha solo fatto notare che anche le associazioni di categoria aprono in quei Paesi. Strano notare che se appaiono su corriere.it semplicemente citati, si sentono in dovere di precisare. Quando li hanno intervistati su Tuttotrasporti Domus (settembre 2013) hanno dichiarato “che è intenzione di assistere a livello fiscale e amministrativo le aziende che aprono in quei Paesi” ma anche “di formare con corsi di 6/8 autisti, con corsi di italiano e di territorio, da personale fidato e consentono all’imprenditore tramite un viaggio di due giorni di conoscerlo”. Testuali parole. Il problema che nessuno si pone è che per quanto legale è ovvio che sfalsa il mercato, a essere gentili. E la cosa più grave e che questo fenomeno si sta estendendo ad altre figure lavorative, alla faccia delle facili soluzioni e della crisi. Europa unita si, ma nello sfascio sociale, da entrambe le parti.

  8. In una Europa unita davvero, un’impresa avrebbe la stessa pressione fiscale e gli stessi costi amministrativi in Italia, in Romania, in Germania. Il singolo lavoratore avrebbe pari stipendio, pari contributi, pari trattamento pensionistico a fine vita lavorativa indipendentemente dalla nazionalità d’origine o di residenza.
    Quella in cui viviamo NON è considerabile come un’Europa unita!!!

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