Io camionista senza lavoro perché, da italiano, ho rifiutato un contratto bulgaro

Ha osato dire di no a un “contratto bulgaro” e per questo un camionista è rimasto a piedi. A raccontarlo, in una lettera inviata al Corriere della sera e pubblicata on line (per leggere l’articolo cliccate qui) è Alessandro Gabanella, detto “Valanga” 31 anni, milanese di Segrate, che con il racconto della triste esperienza vissuta sulla propria pelle ha confermato quanto da tempo sta denunciando, proprio attraverso Stradafacendo.tgcom24.it,  Paolo Uggè, presidente di Fai Conftrasporto. Ovvero che moltissimi lavoratori italiani stanno perdendo il lavoro per colpa di norme europee sbagliate, ma soprattutto per colpa di controlli che nessuno fa. Cosa ha raccontato al Corriere Alessandro Gabanella che dall’età di 19 anni percorre, al volante di un tir, le strade di mezza Europa? Di essere stato convocato dal  titolare di un’azienda  barese e di essersi sentito offrire un contratto bulgaro, o, come lo definisce il giovane camionista, “una delle porcherie di cui si sente parlare in  giro”.  Una porcheria subito spiegata: “Io sono italiano, lavoro in Italia, con un mezzo italiano, trasporto merce italiana da e per l’Italia”, scrive al Corriere Alessandro Gabanella,  e tu cosa mi proponi? Il contratto bulgaro”. Com’è possibile? È sempre il giovane camionista a spiegarlo: “In Bulgaria i camionisti guadagnano un terzo dello stipendio italiano e le tasse e i contributi sono minimi. Ma la Bulgaria, come la Romania, ora fa parte dell’Unione europea e in virtù della liberalizzazione del mercato si stanno moltiplicando le aziende italiane di trasporto che chiudono le sedi nel nostro Paese per aprire poi una sede fittizia nell’est Europa, con la complicità di agenzie interinali italiane e persino di una sigla sindacale, la Unitai, che aiuta i “padroncini” a chiudere da noi per riaprire in Bulgaria fornendo tutte le informazioni del caso”. E chi non accetta le nuove “regole del gioco” rischia di restare per strada. Questa volta però a piedi. Come successo a “Valanga”, che, coerente col proprio soprannome, ha denunciato la “porcheria”  senza paura di mettere un freno alla propria lingua. Spiegando che  ” se non accetti, al tuo posto assumono un bulgaro, oppure riassumono un tuo collega italiano con un contratto bulgaro riconoscendogli in nero lo stipendio che aveva prima , ma non pagandogli più contributi e tanto meno le tasse”. E che  mentre “con i sussidi dello Stato italiano e i soldi per la formazione italiani vai a finanziare il welfare di Romania e Bulgaria”, nessuno evidentemente si preoccupa di controllare che vengano fatte rispettare le norme in base alle quali ” le aziende di trasporto straniere non possano fare più di tre viaggi all’interno di un Paese estero a settimana”. Una legge alla quale, come vuole un celebre proverbio, è subito stato trovato l’inganno. “Le aziende di trasporto che hanno aperto una filiale nell’est Europa hanno tenuto rimorchi e semirimorchi italiani in modo da saltare i controlli relativi al cabotaggio e ora c’è il far west”, racconta sempre  il giovane camionista milanese che sul Corriere fa nomi e cognomi delle aziende che hanno assunto personale da agenzie o vettori dell’est Europa, ma senza dichiararlo apertamente. Forse per timore della reazione degli ex dipendenti delle sedi chiuse in Italia?

11 risposte a “Io camionista senza lavoro perché, da italiano, ho rifiutato un contratto bulgaro

  1. Negli anni precedenti l’unificazione si discuteva della possibilità di ritrovarsi con due gruppi di nazioni a causa della diversa situazione economica delle varie nazioni: uno che marciava a passo spedito e l’altro a passo lento. Come gestire il gap?
    Direi che in realtà ci troviamo di fronte a tanti gruppetti che marciano ognuno al suo passo…

  2. Altro dubbio: i vettori francesi e tedeschi (cioè i vettori che lavorano nelle nazioni “trainanti”) come riescono a stare sul mercato? Quanti casi come questo italiano possiamo trovare in queste nazioni?

  3. In relazione all’articolo dal titolo “Io camionista licenziato perché ho detto no al contratto bulgaro”, pubblicato in data 13 gennaio 2014 nella sezione Economia del Corriere della Sera oline, si ritiene opportuno rettificare e precisare l’informazione riportata in merito all’attività svolta dalla scrivente associazione Unitai. L’Unione Imprese Trasporti Automobilistici Italiana, sigla sindacale storica della rappresentanza dell’autotrasporto, non è complice, né tantomeno si è appoggiata ad alcuna agenzia interinale italiana, per perseguire attività che permettano alle proprie imprese di costringere gli autisti ad accettare le situazioni descritte nell’articolo in questione. Anzi, si sottolinea la completa e corretta applicazione della normativa di settore da parte dell’Unitai e delle imprese associate e si prendono le distanze da situazioni come quelle che hanno visto coinvolto il signor Gabanella. Infatti, nel mese di maggio 2013, a seguito di un’autonoma valutazione del proprio consiglio direttivo ed al fine di venire incontro alle esigenze della base associativa, l’Unitai ha deciso di aprire un proprio ufficio operativo in Romania per prestare assistenza e consulenza alle imprese che effettuassero servizi di trasporto internazionali, avessero necessità di districarsi tra le complesse normative dei Paesi esteri ovvero volessero stabilire la propria sede o una filiale in un altro Paese, nel pieno rispetto della normativa legale, del lavoro e fiscale, così come disciplinato da regolamenti e direttive dell’Unione Europea.
    Tanto era doveroso.

  4. Nell’articolo originale si parla di Unitai, collegata a Conftrasporto, come federazione che “aiuta” i padroncini a traslocare la sede all’estero. Sarebbe corretto sottolineare come il presidente di Conftrasporto (e tutta l’associazione assieme a lui) sia stato il primo a denunciare il problema all’Italia intera, sindacati e governo inclusi, e che tali segnalazioni siano state semplicemente ignorate da chi, ben prima dei trasportatori, avrebbe dovuto tutelare i lavoratori italiani.
    All’ultima riunione di Conftrasporto, fra l’altro, si parlava del fatto che la norma del cabotaggio prevede che qualora si accerti che 1 veicolo (UNO!) ha violato la normativa sul cabotaggio 1 volta (UNA!) si possa vietare all’impresa di entrare nel paese su cui si è svolta l’infrazione con tutti i suoi camion (TUTTI!)
    Ministro Lupi, metta in secondo piano il costo autostradale, faccia applicare immediatamente questa normativa, avrà risolto uno dei problemi più assillanti dell’autotrasporto italiano.
    Sig. Giachino, che ogni tanto ha dato prova di leggere il nostro blog, sarei lieto di sentire la sua voce su questa questione, sia economica ma soprattutto etica.
    Questo darebbe al sig. Valanga e a molti suoi/nostri compatrioti la possibilità di un posto di lavoro italiano a condizioni italiane nel territorio italiano.

  5. A breve questa situazione coinvolgerà anche le restanti aziende di trasporto. Mi chiedo: dove è lo Stato? Dove sono le autorità competenti che effettuano i controlli? Non bastano i controlli su strada, vanno effettuati a monte dove nasce il prodotto e viene spostato da un posto all’altro, basta chiedere di pagare le tasse.

  6. Leggo con stupore ciò che ormai sappiamo da anni. Io ho 23 autisti che percepiscono uno stipendio giusto come dovrebbe essere per tutti coloro che sono in regola. E giusto si intende con gli straordinari scaglionati in base agli orari che fanno (30% straordinari normali, 50% se lavorano al sabato, 65% se lavorano nei festivi ecc. ecc.) con le loro trasferte, con tutti i contributi pagati e con tutti i loro diritti riconosciuti come è giusto che sia. Aziende come la mia per fortuna ce ne sono ancora ma la domanda è sempre la solita: fino quando resisteremo visto che abbiamo come concorrenti imprenditori senza scrupoli che quando vengono “colti in flagrante” chiudono per riaprire sotto altri nomi?

  7. Caro Pierluigi, il problema è: quante aziende come la tua e come la mia sono rimaste a rispettare i contratti di lavoro e più in generale “le regole” per cercare di dormire la notte sonni tranquilli (per quanto questo lavoro permetta) e con la coscienza a posto? Il mio timore è che le associazioni, troppo prese a litigare fra loro e tese a conseguire il consenso del maggior numero di aziende possibile (che in buona parte le regole non le rispettano) abbiano ormai rinunciato nei fatti alla linea del rigore forse memori che già una volta tale rigore era stato a parole richiesto da tutti nelle assemblee salvo poi, ai primi controlli, cambiare opinione e protestare.

  8. Attenti a fare di tutte le erbe un fascio, caro Roberto. Così si rischia di minimizzare il lavoro di chi invece ha provato a difendere gli interessi delle imprese italiane. Quanti ricordano che questo argomento era stato posto come pregiudiziale per la discussione del contratto di lavoro ben quattro anni fa e chi oggi fa la maestrina della penna rossa o effettua analisi ed elucubrazioni che derivano da un cultura complottistica furono i primi a rompere il fronte e a firmare il contratto lasciando in difficoltà la Fai e la Confartigianato che senza la soluzione del problema del personale in affitto non avevano sottoscritto il contratto? Io mi ricordo bene.

  9. Confermo quanto riferito da Antonio, verissimo che quattro anni fa tale problema è stato posto come pregiudizialale ai sindacati per andare avanti con le trattative, verissimo anche che il ministero interpellato su tale argomento con un avviso comune firmato da tutti, se ne è ampiamente lavato le mani, adducendo all’impossibilità di farlo per rispetto delle norme della direttiva europea della libera circolazione di merci e persone. Se ci fosse stato un intervento politico a Bruxelles dei nostri governanti, per scongiurare tale turbativa/dumping nazionale/europea forse… ma se ne sono guardati bene dal farlo, essendo in altre faccende affaccendati . Verissimo anche che chi oggi fa la maestrina, ha contribuito in prima persona a far rompere il tavolo compatto delle associazioni dell’autotrasporto con la complicità di un suo corregionale in quei passati momenti, se il tavolo dell’autotrasporto fosse rimasto compatto saremo riusciti ad avere una presa politica sull’argomento più efficace e forse avremo risolto. Ma tant’è….

  10. Comunque le cose in Italia non vanno bene per niente siamo circondati da questo SCHIFO tutti vengono qui da noi e fanno quello che vogliono e non interessa a nessuno ci sono da anni ditte di trasporto che lavorano SENZA LEGGE se ne fregano assumono stranieri come e quando vogliono danno il lavoro a terzi sotto pagati L’AUTISTA ITALIANO non serve più. Dicono che noi non vogliamo lavorare le feste che non vogliamo mettere la calamita gli stranieri stanno zitti e fanno. Ma come fino a ieri ci hanno fatto fare di tutto e di più. Adesso che i costi sono alti chi ci rimette l’autista italiano, si nascondono dietro a un dito vergogna. Tanti parlano poi hanno il nero sul camion e fanno finta di niente. E’ PROPRIO UNO SCHIFO.

  11. È’ proprio uno schifo è anche il commento più adatto all’italiano di qualche autotrasportatore che scrive… Si parla tanto di formazione e poi fra gli autotrasportatori ci sono semianalfabeti….

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