Camionisti in smart working: basterebbero pochi giorni per capire come devono essere trattati

E se il trasporto andasse in smart working?” Bella domanda. Anzi bellissima, per il semplice fatto che appartiene alla categoria dei quesiti che non solo catturano l’attenzione, non solo sono “sul pezzo”, ma sono soprattutto intelligenti, fanno riflettere. E perché, per di più, induce a riflettere in più direzioni. Per esempio sul fatto che alcune categorie possano lavorare da casa e altre no, privilegiando per di più spesso le prime a scapito delle seconde, garantendo a dipendenti pubblici il regolare stipendio a fine mese e non sostenendo invece economicamente in modo adeguato  i “privati” che gestiscono imprese nel settore. Ma anche una domanda che induce a pensare al fatto che chi, per l’attività che svolge, non può non  uscire di casa per lavorare, percorrendo centinaia di chilometri al giorno al volante, entrando in contatto con moltissime persone e quindi vendendo moltiplicarsi esponenzialmente il rischio d’essere contagiato, si vede sbarrata perfino una “corsia preferenziale” per essere vaccinato prima di altri. Magari quelli che, non facendo i camionisti, se ne stanno a casa al riparo dal virus. A domandarsi perché gli autotrasportatori (definiti troppe volte,  con la facilità tipica dei politicanti a caccia di consensi, “eroi” nei momenti più drammatici della pandemia, quando hanno permesso al Paese di non fermarsi) non decidano di “mettersi in smart working”, applicando la regola secondo cui tutti i cittadini hanno eguali diritti, è Franco Fenoglio, ex presidente e amministratore delegato di Italscania, in un articolo pubblicato dalla testata “Logistica e trasporti”. Domanda intelligente quanto provocatoria che qualunque organo d’informazione (composto da giornalisti che vogliano davvero fare informazione e non solo “marchette”, che siano davvero al servizio del Paese, che siano intellettualmente onesti e non sul libro paga di qualcuno fermamente intenzionato a non “disturbare il guidatore”…) dovrebbe porsi e contribuire a veicolare: semplicemente “riprendendola”. Perché solo così si consentirebbe a una categoria di lavoratori che ogni giorno “fanno viaggiare l’economia del Paese” e senza i quali ( o magari “con”, ma in smart working…) migliaia di imprese chiuderebbero i battenti e decine o centinaia di migliaia di persone resterebbero senza lavoro (per la ragione, comprensibile anche ai meno intuitivi che se una merce prodotta non viene consegnata resta miseramente sui piazzali di “ avere l’attenzione di una politica incapace di pianificare a medio e lungo termine, prendendo coscienza una buona volta che trasporto vuol dire logistica e che le due cose insieme rendono un Paese più forte e in grado di competere a livello globale”. Pensieri e parole presenti nel testo di  Franco Fenoglio che riportiamo integralmente. “Una portacontainer incagliata nel canale di Suez ha impedito la navigazione di una delle principali arterie mondiali del traffico merci, con conseguenze disastrose per l’economa mondiale. Centinaia di navi bloccate con a bordo merci di ogni tipo; dal canale di Suez passa oltre il 10 per cento del commercio mondiale. Una situazione drammatica che ha portato alla luce, ancora una volta, il legame indissolubile esistente tra economia e trasporto. Una situazione drammatica che dovrebbe portarci a riflettere sul fatto che se si ferma il trasporto, si ferma il mondo. La pandemia globale ha sottoposto all’attenzione di tutti la strategicità di un settore che ha continuato a operare, seppur tra mille difficoltà, garantendo l’approvvigionamento delle merci. Eppure, spenti i riflettori, le belle parole spese a favore dell’autotrasporto e della logistica durante il lockdown, l’attenzione mediatica, la definizione di “eroi”, sono state presto dimenticate. Memoria corta, anzi cortissima. La fotografia che mi arriva su whatsapp raffigura un segnale di divieto e una mano nera che intima l’alt a tutti i trasportatori: “È vietato l’accesso ai locali aziendali, compresi bagni e distributori automatici”. La frase scritta in piccolo nella riga sottostante, “Ci scusiamo per il disagio temporaneo”, non riesce ad addolcire l’impatto negativo di un divieto tanto categorico quanto inumano e ingiustificato. Al tempo stesso, sono inumane le condizioni degli ambienti a loro disposizione e la mancanza di punti di ristoro dopo le 18 su strade statali e provinciali. Così come è ingiustificata la scarsità di aree di servizio. La libera circolazione delle merci è una delle libertà fondamentali garantite dall’ordinamento giuridico dell’Unione Europea eppure continuano senza sosta le limitazioni al transito lungo l’asse del Brennero mentre i nostri trasportatori sono stati costretti a sottoporsi al tampone per entrare in Germania. Il lockdown e la pandemia ci hanno insegnato lo smart working: qualcosa che era solo appannaggio di pochi fino all’anno scorso, ora riguarda invece la quotidianità di molti. Molti, ma non certo tutti. Forse dovrebbero sperimentare anche i nostri autotrasportatori qualche giorno di “lavoro agile”. Basterebbero pochi, pochissimi giorni per far comprendere a tutti, ancora una volta, come il trasporto merci sia un settore di sicurezza per il Nostro Paese. Autotrasportatori in smart working, per avere l’attenzione di una politica incapace di pianificare a medio e lungo termine, prendendo coscienza una buona volta che trasporto vuol dire logistica e che le due cose insieme rendono un Paese più forte e in grado di competere a livello globale. Autotrasportatori in smart working con la speranza di rientrare tra le categorie da vaccinare al più presto, per continuare a effettuare il trasporto merci in totale sicurezza. La speranza è quella che il trasporto possa essere finalmente posto al centro dello sviluppo economico del Paese, mettendo gli autotrasportatori in condizione di fare bene il loro mestiere prima che possano anche solo pensare di mettersi realmente in smart working”.

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