Porti sul Mediterraneo: crescono tutti tranne quelli italiani affondati dalla burocrazia

Se i porti italiani crescessero come quelli di altri Paesi europei, per esempio della Spagna, che ha fatto registrare un più 5 per cento della movimentazione merci nei propri scali, potrebbero generare circa 7.600 nuovi posti di lavoro e un incremento del fatturato di oltre 2 miliardi di euro. Peccato però che i porti italiani non crescano, come invece avviene per tutti gli altri scali affacciati sul Mediterraneo, con un guadagno medio del 7 per cento mentre il Belpaese (nonostante lo “Stivale” sia una piattaforma logistica naturale nel Mare Nostrum) fa registrare addirittura una perdita, con un meno 2 per cento. Una perdita frutto delle disconnessioni e delle riforme incompiute che bloccano la competitività, come emerge chiaramente dal Rapporto Isfort presentato al 5° Forum internazionale dei trasporti di Conftrasporto-Confcommercio in corso a Villa d’Este, a Cernobbio, che fotografa un’Italia in netta controtendenza rispetto al complesso della portualità mediterranea. “Dal 2011 al 2018 i volumi di merce nel Canale di Suez sono aumentati del 42 per cento, ma il sistema portuale italiano ha fatto registrare solo il 2 per cento in più, con burocrazia e ritardo digitale che inceppano il sistema”, si legge nel documento che sottolinea un dato semplicemente allucinante: “ci vogliono 68 istanze da trasmettere a 18 amministrazioni diverse per svincolare le merci in import/export”. È così che “negli ultimi 10 anni, infatti, mentre gli altri porti del Mar Mediterraneo rosicchiavano a quelli del Nord Europa circa il 7 per cento delle quote di mercato continentale, il sistema italiano ne perdeva il 2 per cento. Perché l’Italia è disconnessa al suo interno e verso il resto del mondo, perché la scarsa accessibilità impedisce alle merci di raggiungere rapidamente i luoghi di destinazione e frena quel processo di intermodalità che consentirebbe, con quella dei trasporti, la ripresa economica”, Il tutto con l’aggiunta, giusto per non farci mancare nulla, di “una lentezza ormai cronica nella realizzazione di alcune riforme”. Come nel caso delle Zone economiche speciali (Zes), per le quali “ mancano ancora gli strumenti di semplificazione per attuarle, con risorse stanziate insufficienti, con i paradosso che dai benefici previsti sono escluse le imprese di trasporto (che sono un elemento costituente delle Zes)”.  E senza dimenticare “la questione del dragaggio dei fondali, indispensabile per consentire il passaggio di navi sempre più grandi, così come avviene nei principali porti europei”.

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