Il no al nucleare costa all’Italia 40 miliardi l’anno (lasciando i rischi). Il no alla Tav costerà di più

Il no alla Tav e, con essa a moderni ed efficienti collegamenti fra l’Italia e l’Europa, sarebbe peggio del no al nucleare che l’Italia pronunciò con un referendum, col risultato che oggi il nostro Paese paga salatissimo il conto di quella decisone (40 miliardi di euro l’anno costa l’acquisto di energia da Paesi che sono ai confini con il nostro) correndo per di più gli stessi rischi che secondo i propugnatori del no si sarebbero invece evitati bocciando tale fonte di energia. Ad affermarlo, nel suo appuntamento settimanale con gli associati on line sul sito di Conftrasporto, (cliccate qui per leggere il testo integrale)  è il vicepresidente nazionale dell’associazione, Paolo Uggè, pienamente convinto che il danno sarebbe catastrofico perché “essere esclusi dai traffici europei rischia di essere ancora peggio in quanto i tempi di realizzazione delle infrastrutture si computano in decenni e le merci, una volta individuata la strada, e a nord delle Alpi ne esistono di possibilità alternative, non la abbandoneranno più, condannando l’Italia a restare per sempre ai margini”. Una situazione che, secondo il vicepresidente di Conftrasporto, oltre che di Confcommercio, non può certo lasciate tranquilli anche alla luce di quanto affermato dalla commissione europea nel Country Report , il documento stilato per analizzare l’andamento macroeconomico del nostro Paese e fornire una serie di raccomandazioni per riallineare la politica economica italiana. “L’Unione Europea sostiene che l’Italia non sta ancora giocando il suo ruolo chiave nella strategia europea dei trasporti”, scrive Paolo Uggè nella sua rubrica settimanale, il Punto, evidenziando come la preoccupazione dell’Europa sia causata “dai ritardi accumulati dal Governo italiano sulla Tav Torino – Lione che è parte di uno dei quattro corridoi TEN-T immaginati per far fronte ai maggiori flussi di trasporti in Europa e non un collegamento tra due città Torino-Lione. Mi rendo conto di ribadire concetti già espressi”, scrive Paolo Uggè, ”ma ritengo che sia opportuno farlo di fronte a certe prese di posizioni sbagliate frutto di indagini forse troppo di parte, oppure originate da esigenze elettorali, come la proposta di un referendum, a nostro avviso illegittimo e frutto di pura demagogia, da accomunarsi in concomitanza con le elezioni regionali, (interessa a qualche candidato?). Tutto questo è frutto della cultura del “non fare o della decrescita felice”, e comunque risponde all’esigenza politica solo di prendere tempo. Tutte scelte che però metterebbero per sempre ai margini dello sviluppo economico il nostro Paese”. E per denunciare la visione miope della “politica del non fare”, Paolo Uggè cita un altro precedente: “Le persone con qualche anno sulle spalle si dovrebbero ricordare che negli anni 60 all’inaugurazione di quella che sarebbe divenuta la spina dorsale del Paese, l’Autosole, le contrarietà di un partito d’opposizione erano ben descritte nel giornale di partito che così commentava l’opera il giorno dell’inaugurazione : “abbiamo l’autostrada ma non sappiamo bene a che serve”. L’Autostrada del Sole è lì a dimostrare quanto invece quella intuizione sia stata illuminante. In tutto il mondo si stanno realizzando ponti, autostrade, tunnel”. Sta sbagliando il resto del mondo o l’incapacità di capire è tutta di quella parte dell’Italia che sembra ragionare solo per ideologie e interessi elettorali?

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