Mezzo milione di camion in viaggio sulle strade. E 300mila sono vecchi, inquinanti e pericolosi

Trecentomila mezzi pesanti che circolano sulla strada italiane sono Euro 3, Euro 2, Euro 1 o addirittura Euro 0, mentre “solo” 200mila appartengono a categorie superiori, tecnologicamente meno inquinanti e più sicure. Il dato, presentato al quarto Forum internazionale dell’autotrasporto organizzato a Villa d’Este a Cernobbio, potrebbe bastare, da solo, a comprendere quanto sia indispensabile e urgente per il nostro Paese un “ricambio” del parco mezzi circolante. Per ridurre l’inquinamento, ma anche per aumentare la sicurezza: perché con mezzi di nuova tecnologia dotati di frenata assistita, solo per fare un esempio, probabilmente sarebbe stato possibile evitare una tragedia come quella avvenuta ad agosto scorso a Borgo Panigale, alle porte di Bologna, dove un’autocisterna carica di gas è esplosa dopo essersi scontrata con un altro mezzo pesante. Un “caso” emblematico per comprendere la necessità di sostituire mezzi datati, inquinanti e pericolosi (in alcuni casi vere e proprie bombe a orologeria che corrono lungo strade e autostrade) con camion nuovi, puliti, sicuri. Un ricambio che dovrebbe essere favorito in tutti i modi dal Governo, a cui si deve l’ideazione di un apprezzabile slogan: “chi inquina paga”, felice sintesi della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. Peccato che quello slogan sia però un’autentica presa in giro. Già, perché proprio la due giorni organizzata da Conftrasporto Confcommercio a Villa d’Este ha rivelato un incredibile retroscena: ovvero che in realtà, nel nostro Paese, chi meno inquina più paga. Un vero e proprio schiaffo per quegli imprenditori che, per il “bene comune”, per tutelare l’ambiente e fare prevenzione contro possibili incidenti, hanno deciso di investire acquistando mezzi di nuova tecnologia, riqualificando le proprie flotte. Uno studio realizzato da Confcommercio-Conftrasporto dimostra, senza possibilità di smentite, questa assurdità: chi ha investito per sostituire i vecchi mezzi con nuovi, che percorrono molta più strada, paga due volte e mezzo o addirittura tre volte di più di chi non ha acquistato veicoli di nuova tecnologia pulita. E questo “grazie” all’incapacità di prevedere un semplicissimo decalage, un abbassamento sempre maggiore delle tasse da pagare via via che sale la capacità di un mezzo di non inquinare (e assicurare sicurezza). I numeri analizzati dall’ufficio studi di Confcommercio dicono che  le accise nette ai fini ambientali, destinate a “compensare” i danni causati alla collettività dell’inquinamento, dovrebbero andare da 0,282 euro per veicoli con terza classe emissiva (Euro3) a 0,131 euro per i meno inquinanti (Euro6). I numeri dell’attuale pressione fiscale  ci dicono invece che le accise nette valgono 0,403 euro a litro e che dal 2019 potrebbero passare a 0,437 euro a litro. Alla faccia di quella che dovrebbe essere un’equa tassazione ambientale. È davvero così difficile capire che per incentivare le imprese a riammodernare le flotte (rimettendo per di più in moto l’industria dei mezzi pesanti e generando dunque lavoro) serve una pressione fiscale differenziata inversamente proporzionale alle emissioni inquinanti? Il taglio lineare non solo è iniquo: crea un disordine ideologico a tutto il sistema dei trasporti e all’economia nel complesso, generando una cattiva allocazione delle risorse, frenando investimenti, innovazione e sviluppo. Un autentico disastro. Mascherato agli occhi dei più da un bello slogan…

Paolo Uggé,vicepresidente di Conftrasporto e di Confcommercio 

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