I porti italiani stanno tornando a galla, ma c’è il rischio che possano di nuovo affondare?

La riforma della portualità è promossa. Anzi no, rimandata. Almeno secondo il giudizio di Gian Enzo Duci, presidente di Federagenti, la Federazione degli agenti marittimi italiani, secondo il quale “gli effetti di una regia nazionale del sistema portuale si iniziano a vedere ma occorre accelerare la costituzione del tavolo nazionale di coordinamento delle Autorità di sistema portuale, dei tavoli di partnernariato della risorsa mare, e disporre di dotazioni finanziarie mirate per la direzione del ministero delle Infrastrutture e Trasporti che si occupa del settore marittimo”. In altre parole il timore di Gian Enzo Duci è che la nuova “macchina” non sia ancora in grado di andare avanti in modo autonomo. “Dopo anni abbiamo un ottimo ministro: Graziano Delrio è fra i pochi ad avere avuto questa attenzione al settore”, ha spiegato il presidente di Federagenti, “ma il problema è che oggi il sistema dipende troppo dalla sua presenza. Da una parte perché non si è dispiegata del tutto la riforma e dall’altra perché le risorse date all’unica direzione dei Trasporti che si occupa del mare non sono adeguata alla mole di lavoro. Oggi sfrutta le dotazioni del gabinetto di Delrio, mentre servono risorse dirette e stabili, che restino anche se cambia ministro”. Ipotesi nella quale, temono in molti, potrebbero fermarsi nuovamente i segnali positivi arrivati invece con Graziano Delrio al timone del ministero. Un esempio positivo l’ha fatto lo stesso Gian Enzo Duci: “La nuova organizzazione delle grandi alleanze ha reso Trieste più competitiva dei porti del Nord Europa nei servizi per il Centro Europa”. Guarire il sistema portuale italiano, da decenni ammalato cronico, è dunque possibile: iniziando, da Genova e Trieste “i due porti sui quali puntare per i traffici internazionali”, ma dando spazio anche “agli altri scali in cui sta aumentando l’offerta delle linee ro-ro, al servizio delle economie regionali”.

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