L’articolo 18? È una scusa per non parlare dei veri problemi (anche del trasporto)

Può la soppressione dell’articolo 18 determinare la ripresa nel Paese? E il “caso” scoppiato attorno alla norma che tutela i lavoratori con contratto a tempo indeterminato da possibili licenziamenti illegittimi è solo un paravento (in tempi di contratti indeterminati col contagocce e di precarizzazione di massa) dietro il quale nascondere problemi ben più importanti ma di cui “è meglio” non occuparsi? In entrambi i casi la risposta è sì. Perché l’articolo 18, causa le interpretazioni della magistratura e il potere del sindacato, è divenuto nel tempo un ostacolo allo sviluppo delle imprese (a partire da quelle dell’autotrasporto che sanno quanto sia miope mantenere in vita la norma quando si possono trovare centinaia di autisti in affitto, in regola, a basso costo); e perché le stesse imprese di trasporto hanno sperimentato come il sindacato spesso rifiuti di affrontare i temi più importanti. Col risultato di produrre minor occupazione e spalancare le porte alle delocalizzazione. Gli esempi si sprecano. Uno su tutti: il disinteresse mostrato nell’affiancare le imprese nella battaglia europea per sostenere le norme sui costi della sicurezza del trasporto merci. Eppure sono i  lavoratori, in molti casi, a pagarne le conseguenze. Eppure ciò che chiedono le imprese è semplice: avere regole e costi europei applicati. Su questo qualcuno può rifiutare il confronto? Così si fornisce solo un alibi a chi vuole protestare. L’augurio è che questo non avvenga, anche se i segnali che arrivano dal Governo non lasciano presagire nulla di buono. Non mantenere gli impegni assunti, tagliando le risorse già destinate al settore, è inaccettabile. Ora (prima che sia troppo tardi) il Governo deve chiarire se veramente intende mantenere il taglio sul rimborso dell’accisa sul gasolio e quello, deciso unilateralmente, dei trasferimenti. Manovre che, lo capirebbe anche un bambino, favoriranno solo i rifornimenti in altri Paesi (riducendo quelli in Italia, dove la spesa dei carburanti nel 2014 è scesa del 2,8 per cento e, dal 2007 a oggi, del 20 per cento, facendo crollare le entrate fiscali) e il ricorso ai nuovi schiavi del volante provenienti dai Paesi dell’Est. Lo capiranno i nostri, adultissimi, governanti? O preferiranno alzare un altro paravento, parlando magari di un ricatto, del tentativo dell’autotrasporto di mantenere tutto com’è? In tal caso sappiano, fin d’ora, che quella che sta combattendo l’autotrasporto è una battaglia di sinistra moderna. Come quelle che ama il presidente del Consiglio…

Paolo Uggé

3 risposte a “L’articolo 18? È una scusa per non parlare dei veri problemi (anche del trasporto)

  1. Forse l’articolo 18 si potrà anche cancellare, ma i lavoratori è giusto che abbiano delle tutele che oggi non hanno soprattutto a causa dei contratti a tempo determinato continui, del precariato, etc… La verità è che moltissimi imprenditori non investono più sulla qualità dei propri dipendenti. In molti casi l’unico parametro che guardano è quello relativo al costo… Facendo un clamoroso autogol.
    È vero che si possono trovare camionisti – come operai (etc) – in affitto, regolari e a basso costo. Ma vi sembra degno di un Paese civile?

  2. No, sig. Gianpietro, non lo è. Un paese civile non avrebbe chiuso gli occhi, quando i suoi imprenditori (volenti o dolenti, perché di colpa ce n’è, ma da tutte le parti) hanno iniziato ad avere manodopera esterna. Non avrebbe chiuso gli occhi, quando nei campi ci sono gli squadroni di lavoratori precari. Non avrebbe chiuso gli occhi, quando un “socio di cooperativa” lavora 10 ore al giorno per 500€/mese perché “socio”. Abbiamo fatto tutto questo, e molto di più, con il totale disinteresse dei sindacati. Gli stessi sindacati che l’altro giorno dicevano “no ai tagli alle pensioni d’oro” … pensioni che vengono pagate con i fondi pensione di chi sta lavorando oggi. L’art.18 è un simbolo da affrontare, ma per tutti nel bene o nel male. Non si può affrontarlo non considerando che, ormai, siamo Europa e dobbiamo far paragoni con i nostri “colleghi di continente”, se vogliamo andare avanti. E, primo su tutti, segare i diritti acquisiti dei dipendenti pubblici che fra stipendi, ore di lavoro, abuso di malattia/infortuni, prepensionamenti, mobilità orizzontale/verticale, favoritismi e incapacità lavorativa ed organizzativa stanno uccidendo tutti i settori.

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