Riva chiude gli stabilimenti, anche i camionisti restano a piedi: crisi a Brescia

La chiusura immediata degli stabilimenti di Riva Acciaio, con la perdita del lavoro per circa 1.400 persone, ha conseguenze drammatiche anche per l’indotto. Compreso l’autotrasporto merci che, come ricorda la Fai di Brescia in una nota, “porta materie prime, rottami e movimenta materiale da uno stabilimento all’altro per le fasi successive di lavorazione, infine procede alla consegna all’utilizzatore finale, che molto spesso a loro  volta officine, stabilimenti o magazzini di distribuzione di prodotti con ulteriore personale”. Proprio nel bresciano la situazione è drammatica, visto che in alcune zone, come la Valle Camonica, la maggior parte delle aziende d’autotrasporto lavora per il Gruppo Riva.

“Condividiamo le preoccupazioni per tutti i lavoratori, ma diamo qualche numero per quanto riguarda il coinvolgimento del trasporto”, spiega il presidente di Fai Brescia,  Antonio Petrogalli. “Solo nel Bresciano è di ben 400 mezzi pesanti di proprietà delle ditte locali ed altri 400 sono dei sub vettori di altre provincie italiane, quindi più di 1000 famiglie, considerando anche gli addetti all’organizzazione del trasporto e della logistica. Nella maggior parte dei casi le aziende di trasporto e spedizione della Valle Camonica lavorano quasi esclusivamente per il Gruppo Riva e sono cresciute con l’evolversi degli stabilimenti, e ai servizi richiesti hanno sempre risposto con puntualità e professionalità. Non vogliamo entrare nel merito delle motivazioni dei Giudici e dell’azienda, ma facciamo un accorato appello perché ci si adoperi per evitare ulteriori danni, quali la chiusura delle aziende coinvolte nella filiera e, senza esagerare ci potrebbero quindi essere oltre 4000 posti di lavoro a rischio. Le aziende di trasporto”, prosegue Petrogalli, “saranno costrette anch’esse a chiedere per i propri lavoratori  la cassa integrazione e la mobilità, se non addirittura procedere al licenziamento collettivo, come pure farà tutto l’indotto che dall’oggi al domani si trova senza la materia prima per lavorare, quindi oltre 5400 lavoratori”.
“La nostra Federazione”, spiega Antonio Petrogalli, “è coinvolta in questa drammatica situazione con tutte le sue imprese di trasporto associate e chiede che immediatamente venga nominato un Commissario straordinario che valuti attentamente la possibilità di proseguire l’attività per evitare questa catastrofe. Ogni giorno di chiusura significa perdita di produttività e quindi maggior difficoltà alla riapertura per recuperare i clienti, che oramai avranno altri fornitori magari esteri”.

Una risposta a “Riva chiude gli stabilimenti, anche i camionisti restano a piedi: crisi a Brescia

  1. Certe “aziende” quando chiudono… fanno del BENE, ovvero non tutto il male viene per nuocere, insomma ci guadagna la salute umana e non solo e ci guadagna tutto l’ambiente naturale! Le varie acciaierie dislocate in più parti d’Italia hanno inquinato per decenni, alcune hanno superato inquinando alla grande da più di mezzo secolo! Morti bianche dentro le acciaierie moltissime, senza parlare dei gravi infortuni e di chi avendoci lavorato è morto però fuori… alle acciaierie stesse senza così prendere indennità di infortunio o di malattia. Poi ci sono le tante morti e malattie riscontrate da chi non ha mai lavorato in acciaieria, ma ha preso malattie solo perché ha abitato presso le acciaierie. L’aria inquinata ha prodotto morti e malattie anche al di fuori delle varie acciaierie! Senza poi contare che non solo Taranto e Genova hanno inquinato, ma anche le piccole e medie acciaierie hanno per anni anche loro inquinato non solo l’aria ma anche torrente. Montagne di tonnellate versate in più argini e persino le varie polveri e scarti vari di nota acciaieria sono stati sparsi per decenni persino sulle stradine non asfaltate di campagna dove sopra non cresce neppure un filo di erba! Tutto bene visibile per chi sa riconoscere questi scarti simile al cemento.. grigio e marroncino con dentro tante cose..!!! Poi bisogna ammettere che certi lavoratori purtroppo ci rimettono alla grande, ma sempre in nota acciaieria del Piemonte c’è chi è andato fino a oggi a fare il secondo lavoro in acciaieria! Tanto che un dirigente tempo fa a chi faceva mutua lo costringeva a fare il turno normale anziché i turni, non dando così modo per punizione di fare il secondo lavoro nei campi a raccogliere l’uva, a fare il fieno ecc. ecc!. C’è poi da considerare che l’acciaio in Italia oltre che a inquinare costa tantissimo produrlo, costa sia fonderlo per l’elevato costo dell’energia elettrica, costa per comprare le materie prime che l’Italia non ha. Neppure se vengono regalate sorge il dubbio che qualche nazione le voglia queste acciaierie sanno codeste nazioni che se le pigliano, prima o dopo dovranno pagare tutti i danni alla salute alle persone e lavoratori sanno che dovranno pagare i danni ambientali perpetuati per decenni che dovranno spendere miliardi per bonificare le aree siderurgiche e limitrofe.. Pertanto prima che molti soci se la scappino alla chetichella nelle varie isole dei Caraibi i vari giudici facciano pagare i dovuti danni a costoro fatti sia alla salute che ambientali e certi camionisti hanno contributo mettendosi in proprio sapendo già quello che facevano che hanno contributo spargendo polveri e scarti nell’ambiente al disastro ecologico e non solo!!!

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