Uggé: “Non bisogna dare aiuti alle imprese che non garantiscono il lavoro in Italia”

È sfuggito praticamente a quasi tutti i giornalisti dei quotidiani d’Italia (eccezion fatta per quelli di Libero che lo ha pubblicato il 10 di agosto con ampio risalto) lo studio di Mediobanca che sostiene come nei primi sei mesi del 2011 i profitti per le società del settore energetico abbiano registrato una crescita di fatturato dell’11 per cento e quelle manifatturiere del 14 per cento, in perfetta sintonia con il ritorno alla crescita del fatturato delle imprese italiane che nel 2010 hanno fatto registrare un più 64,2 per cento nell’utile netto. Unico dato negativo l’occupazione: meno 0,5 per cento.

Ci aspettavamo reazioni, commenti, addirittura possibili smentite (da parte di coloro per i quali con un Governo “nemico” nulla può andar bene)  ma, non avendone registrate, a tutt’oggi, non possiamo che ritenere quei dati rispondenti alla situazione reale. Abbiamo anche atteso gli interventi dei rappresentanti dei lavoratori: li immaginavamo preoccupati del fatto che, pur di fronte a una situazione che dimostra segnali più che incoraggianti, si registrasse un così evidente calo dei lavoratori occupati. Pensavamo che ne chiedessero le ragioni. Macchè. Silenzio assoluto. Peccato, avremmo potuto fornire loro una risposta, almeno per quanto riguarda il settore delle imprese di trasporto. Avremmo potuto spiegare che una società romena, in collaborazione con alcune associazioni che rappresentano le imprese produttrici, sta girando l’Italia per illustrare, con estrema chiarezza, i risparmi significativi per le imprese italiane che utilizzano lavoratori con distacco internazionale. Gli incontri sono organizzati in collaborazione con la Confindustria della Romania e naturalmente suscitano l’evidente interesse delle imprese nazionali. Le federazioni della Conftrasporto, in sede di rinnovo del Contratto di lavoro del settore, avevano in modo preoccupato segnalato quanto stava diffondendosi, presso le imprese del settore, ai sindacati dei lavoratori. Ma questi,  dando un’interpretazione soggettiva alle disposizioni comunitarie e nazionali, hanno sottovalutato il problema che invece, dati alla mano, sta avendo pesanti ricadute sui livelli occupazionali.
Lo studio di Mediobanca “sfuggito” a molti esperti dell’informazione economica sembra confermare quanto azzeccate fossero le preoccupazioni della parte imprenditoriale della Conftrasporto. Conferma che il fenomeno si sta allargando e a pagarne le conseguenze  sono i lavoratori italiani mentre a trarne i profitti sono solo le imprese che chiedono al Governo interventi e aiuti e intanto assegnano gli appalti a imprese straniere. È solo così che si spiega l’equazione meno lavoratori italiani occupati, più fatturato e più utili. La stessa identica strategia imprenditoriale che sta spingendo molti committenti a non pagare i costi minimi per la sicurezza, fregandosene della vita di chi lavora (così come del loro posto di lavoro, del loro stipendio) e pensando solo al guadagno. A fare cassa. Di tutto il resto, chissenefrega… Come combattere una simile catastrofe? Per esempio vincolando gli aiuti economici a quelle imprese che garantiscano almeno il mantenimento dei livelli occupazionali.

Paolo Uggé

 

2 risposte a “Uggé: “Non bisogna dare aiuti alle imprese che non garantiscono il lavoro in Italia”

  1. Il signor Uggè sfonda una porta aperta. Quante aziende di trasporti italiane hanno aperto sedi secondarie in Paesi dell’est, assumendo, e pagando, autisti abitanti degli stessi Paesi. Facendoli lavorare sopratutto in Italia, ma con costi di mantenimento aziendale, tributario e fiscale con percentuali di incidenza dei Paesi sedi delle loro succursali? Quindi minor costi, maggior possibilità di carico in andata e ritorno, e minore tassazione. Pari a un maggior introito di utile netto..

  2. Questo è il frutto della direttiva Bolkenstein che il nostro Paese ha recepito nel peggior modo possibile. Il nuovo testo, recepito in Italia nel 2010, distingue l’accesso ai mercati europei, che deve essere il più possibile libero e de-regolamentato, dall’esercizio delle attività di servizi, che devono essere quelle del paese di destinazione per non interferire con gli equilibri dei mercati locali. Vengono esplicitate numerose eccezioni prima ambigue, come l’esclusione dei servizi di interesse generale forniti dallo Stato, o il fatto che la direttiva si riferisce ai settori già privatizzati, e non riguarda la privatizzazione o l’abolizione dei monopoli. Oltre all’esclusione dei servizi di interesse generale, ovvero i servizi gestiti dallo Stato nell’ambito della sua politica sociale, già esclusi nella prima versione della direttiva, viene aggiunta la possibilità di escludere alcuni servizi di interesse economico generale. Infine, viene ribaltato l’obbligo di controllo sulle attività di prestazione temporanea di servizi, che nella versione originale era riservata allo stato di origine; è ora lo stato di destinazione a garantire il rispetto del proprio diritto nazionale. Il nostro Stato cosa sta facendo????

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